Gallico *iuos "Taxus baccata"


«Il tasso (ivin in bretone) è l'albero dell'immortalità perché sempreverde e di una longevità straordinaria. I cimiteri bretoni senza tassi non sono veri cimiteri. Ha anche la fama di essere il più antico degli alberi. La mazza del dio druido Daghda era di tasso così come la sua ruota. Si scrivevano incantesimi in ogham su legno di tasso. Quest'albero ha anche un simbolismo militare: si facevano scudi e aste di lancia con il suo legno.»

Tratto da: Divi Kervella, Emblèmes et symboles des Bretons et des Celtes, Coop Breizh, Spézet 1998, p. 17.



Il “tasso sanguinante” di Nevern 

<br><br>Il “tasso sanguinante” di Nevern <br><br>


Il “tasso sanguinante” (stillante linfa rossa) del cimitero della chiesa di Saint Brynach a Nevern, Pembrokeshire (Galles).







sabato 14 agosto 2010

Bologna: un toponimo di origine celtica?



Bologna
po.
Βονωνία (Bonōnía) (Strabone, V, 1, 11), Bononiam Latinam coloniam [...] triumuiri deduxerunt [...] ager captus de Gallis Boiis fuerat; Galli Tuscos expulerant (Livio, XXXVII, 57, 7), Bononia, Bononiam (Plinio, N. H., III, 115 e VI, 218), Bŏnōnĭă (Marziale, VI, 85, 5), Βοβωνία (Bobōnía) (Tolomeo, III, 1, 42), Bononia civitas (Itinerarium Antonini, 99, 5 e 127, 2), Bononia (Cosmografia ravennate, IV, 33; Tabula Peutingeriana, IV, 4).
•• Bologna fu dapprima una città etrusca, che, a detta di G. B. Pellegrini, «fu conquistata dai Galli Boi (sec. IV a.C.) che le imposero un nome celtico in sostituzione della vecchia denominazione etrusca di Felsina (Plinio 3.15.115: “Intus coloniae Bononia, Felsina vocitata tum cum princeps Etruriae esset...”)».
Qui son necessarie due precisazioni: Felsĭna risulta essere il nome etrusco latinizzato; non sappiamo quale nome gallico abbiano attribuito (“imposto”?) a Felsina i Boi, né se ne abbiano realmente dato uno. Non si tratta di sicuro di Bononia, nome con il quale Tito Livio chiama la Latina colonia dedotta nel 189 a.C. (XXXVII, 57), mentre denomina Felsina la città boica (definita oppidum e al tempo stesso urbs) arresasi ai Romani nel 196 a.C.: «[i consoli] iunctis exercitibus primum Boiorum agrum usque ad Felsinam oppidum populantes peragrauerunt. Ea urbs [...]» (XXXIII, 37).
Il toponimo attuale deriva dal lat. Bŏnōnia, attraverso una forma dissimilata *Bolonia. Bononia è poleonimo che si incontra anche in altre regioni dell’Europa romana: in Gallia, attuali Boulogne-sur-Mer – «ant. Portus Itius (Cesare), poi Gesoriacum (Pomp. Mela) e finalmente (dall’epoca di Costantino) Bononia» –, Boulogne-sur-Seine, Boulogne-la-Grasse, ecc.; in Pannonia (Itinerarium Antonini, 243, 1); in Mesia, attuale Vidin (Bulgaria).
Bŏnōnia è sempre stato considerato, dalla gran parte degli studiosi, una formazione in -ōn-ia da una voce celt. bona, ‘fondazione’, ‘base’, ‘villaggio’, ‘oppidum’, ‘luogo abitato’, ‘luogo d’origine’ (ma ‘sorgente’, secondo L. Fleuriot) che ha dato origine forse a Bonna ‘la fondazione’ > Bonn — che potrebbe invece risalire a un *Bundā < ie. *bʰundʰ- ‘fondo’ (X. Delamarre) — e sicuramente a una serie di toponimi composti, tra cui forme ibride con primo elemento latino: Augustobona, Iuliobona, Radesbona, Silbona (*Sīli-bonā), Vindobona; cfr. il cimr. bon e l’irl. bun ‘ceppo, base, origine’.
A dire il vero, con la terminazione -ōn-ia sono stati formati:
a) in ambito celtico, antroponimi femminili gallici e gallo-romani, il teonimo gall. Bergonia, alcuni pochi idronimi (Vedonia, nel 676, Bedonia nell’819, attuale Boulogne, Loire-Atl.; Vicinonia, attuale Vilaine, Bretagna; *Uolonia, attuale Vologne, Vosges), un certo numero di poleonimi: A. Falileyev riporta Andautonia, oggi Ščiterjevo, Croazia, e Assegonia, attuale Santiago de Compostela, ma Delamarre, oltre a Glastonia, oggi Glastonbury, ne registra una ventina, di cui 16 formati da NNP in -onios, -onos, / (tra i quali, forse sei «toponimi personali» in , sei in -iā, quattro in / -iā);
b) in ambito italico, diversi poleonimi, specie sannitici ed etrusco-latini (tra cui Aquilonia, Casontonia, Duronia... Populonia, Vetulonia).
Forse, seguendo O. A. W. Dilke, si può pensare che Bononia non sia nome d’origine celtica, bensì romana: un nome augurale, riconducibile al lat. bŏnus ‘buono’, come lo sono Placentia (da placens ‘piacevole’, oggi Piacenza), Faventia e Fidentia (attuali Faenza e Fidenza).
Ma P. de Bernardo Stempel ha accostato Bononia (a quanto pare un *Bō̆nōnia) al teonimo irl. a. Buanann < *Bounonā ‘la resistente’ — una dea chiamata ‘nutrice dei guerrieri’ (Delamarre) — (da un tema *bouno- ‘durevole’ < *bhouno-). Il toponimo dunque, da una forma *bʰoun-ōn-yā, può esser interpretato come ‘la città che resiste’, ‘la duratura’ o ‘la prospera’. Cfr. i NNP d’origine celt. Bononius, Bononia (‘Prospero’, ‘Prospera’) e il toponimo Baunonia insula menzionato da Plinio (N. H., IV, 94), in cui, secondo X. Delamarre, si nota la «grafia latina Bauno- che rende celtico Bouno-», ma che secondo altri va associato alle voci delle lingue germaniche per ‘fagiolo’, come il norr. baun.
Vd. anche Bologne.

Vindobona, nome del campo romano di Vienna, è ritenuto un composto di vindo- ‘bianco’, ‘sacro’ e -bonā ‘fondazione’ (o ‘sorgente’); secondo P. Anreiter, U. Roider [(2007): 101-2] avrebbe il valore di ‘fondazione di Vindos’ (con il secondo termine NP). Il poleon. e idron. Wien – bavarese Wean, italiano Vienna, slovacco Vieden, ceco Vídeň; la sua prima attestazione è dell’881: ad Weniam (Annales Juvavenses maximi) – non deriva da Vindobona (come invece sostengono ancora vari linguisti), bensì va ricondotto a un idron. celt. *Veidinia ‘il fiume del bosco’ [H. D. Pohl, B. Schwaner (2007): 178; vd. anche gli indirizzi web: "http://members.chello.at/heinz.pohl/N_Buch.htm"; "http://wwwg.uni-klu.ac.at//spw/oenf/name1.htm"], oppure *Vidunia (P. Anreiter), o forse *Viduna / *Veduna [Charles P. Corby (1963): L’hydronimie de la Bretagne, p. 97, in «Ogam», Tome XV, Rennes, pp. 93-102; cfr. gli idron. francesi La Veaune, La Vonne, da *Vidunna], formazioni con il valore de ‘la boscosa’ o di ‘fiume nascosto da un bosco’, derivate dal tema gall. *vidu- ‘albero, bosco’.

C. Marcato (1990); G. B. Pellegrini (1987): 101; G. B. Pellegrini (1990b): 10, 110; P.-Y. Lambert (1994): 37-8; A. Holder (1961-1962); N. Jufer, Th. Luginbühl (2001): 29; A. Dauzat (1982): 30, 97; A. La Regina (1989): 305, 372, 398-9, 401, 419, 427; O. A. W. Dilke (1988): 88-9; F. Benozzo (2002): 261-2; A. Falileyev (2007), s. vv. Vedonia fl., Vicinonia fl., Bononia, bono-; X. Delamarre (2007); X. Delamarre (2008): 82, 83-4; X. Delamarre (2012): 83, 85; P. Scardigli, T. Gervasi (1978): 110; Jan de Vries (1977): 29.



Bologne
po.?
Giavenale, Schio, VI
•• D. Olivieri ritiene possa riflettere un NP Bononius (W. Schulze) o «un più recente Bologno».
Per J. B. Trumper, M. T. Vigolo corrisponde al poleon. Bologna < lat. Bōnōnia, dall’ie. *bʰou-no- + -ōnia. Da *bʰouno- deriva l’a. irl. búan ‘duraturo; eterno’ [a. irl. buan ‘durevole, costante incessante’ (J. Vendryes)] e [«poco verosimile» per J. Vendryes] il cimr. [medio cimr., forse anche a. br.] bun ‘donna’, oltre all’a. irl. Búanann [Buanann], nome di divinità corrispondente a Minerva (quindi Bologna potrebbe valere ‘città di Minerva’).
D. Olivieri (1961): 3; E. Caffarelli, C. Marcato (2008): s. vv. Bológna, Bológni e Bolognini, Bolognino (pp. 250-1); J. B. Trumper, M. T. Vigolo (1998): 229; J. Vendryes (1959-), s. vv. buan, Buanann.

giovedì 12 agosto 2010

NOMI DI LUOGO DELL’ALTO ADIGE - SÜDTIROL DI POSSIBILE ORIGINE CELTICA

In ordine alfabetico, son riportati anche i nomi di luogo di altre province che in alcune voci relative a toponimi bolzanini vengon citati per un confronto etimologico.


Aldeno
po.
TN
Dial. Naldém.
in Aldeno (1216).
• Dal NP germ. latz. Aldius. La forma dial. Naldém presenta la preposizione in- agglutinata e l’esito -n > -m (C. Marcato).
Un antroponimo Aldenus è inserito da X. Delamarre tra i NNP celt.; cfr. anche Andenius, *An-dēn-io- ‘non rapido’ < deno- (= dēno-), cfr. l’a. irl. dían ‘rapido’.
C. Marcato (1990); X. Delamarre (2007).

Aldino - Aldein
po.
BZ
Valdàgno di Trento dal 1928, Aldino - Aldein dal 1955.
mons Aldeni (1140 c.a, 1160), super Aldinum (1177), in Alden (1185), mons Aldeni (1187), de Aldino (1291), in Aldein (1340).
• Di origine preromana. Per G. B. Pellegrini va accostato al poleon. trentino Aldeno e «rappresenta, tra i tanti, un elemento toponimico di unità del sostrato bolzanino-trentino».
Secondo K. Finsterwalder, Aldein deriverebbe dal longobardo Aldo + il suff. neolat. -īnu o -ēnu (col valore di ‘proprietà di un Aldo’), attraverso il ted. *Aldīn.
G. B. Pellegrini (1990a); G. B. Pellegrini (1991): 67; N. Francovich Onesti (1999): 176; Karl Finsterwalder (1990, 1995): 30, 952; E. Kühebacher (1995-2000), Band 1.

Barzago
po.
LC
Barzago (XIII sec.), el locho de Barzago (1346), Bartiago (1405).
•• Secondo D. Olivieri, poiché vien pronunciato con z sorda, Barzago dovrebbe essere una formazione in -ācus da un NP lat. Bercius o, con metatesi Bra- > Bar-, da un Braccius (W. Schulze), piuttosto che da un Bardius o, come proposto da G. D. Serra, un Bargius.
Per M.-T. Morlet Braccius è un derivato del gall. bracco ‘palude’.
X. Delamarre ricostruisce un *barciācon ‘proprietà di Barcios’ per gli attuali toponimi francesi Barsac, un *berciācon ‘proprietà di Bercios’ per Bersée, Bercée, Barcy, e un *bracciācon ‘proprietà di Braccios’ per Brassac. *Barcios corrisponderebbe a Baracios, variante con «a di appoggio». La forma latinizzata Braccius è connessa ai NNP Braccianus, Bracciatus, Braciaca (teonimo), Braciatus, Bracio, Bracus, da una base brac- < *brāg- (alla quale radice risale il gall. braca, bracca ‘brache, calzoni’), o < *mrac- (cui si riconduce il gall. bracis ‘malto’); vd. anche Bràies - Prags).
Secondo C. Marcato invece, Bercius è NP attestato nel Medioevo e associabile a bercio ‘‘urlo sgarbato’’.
C. Marcato (1990); M.-T. Morlet (1985): 40; E. Caffarelli, C. Marcato (2008), s. v. Bercini; X. Delamarre (2007); X. Delamarre (2008): 84; X. Delamarre (2012): 71, 75, 85.

Bragoléo
po.
S. Pietro Viminario, PD
Bragalèo.
•• Secondo J. B. Trumper, M. T. Vigolo, Bragoléo, assieme a Bràgola (Venezia) e Bragaról (BL [ma più probabilmente, TN]) risale forse alla base ie. *m[e]rk-, da cui derivano il cimr. brag, bragod ‘orzo fermentato’ [tema celt. *mraki- > brag ‘malto’ (= gall. bracis), bragod ‘bragget’, a. irl. mraich > braich ‘malto’], e, attraverso *m[e]rk-no- > protocelt. *mrak-no-, il cimr. braen, l’irl. brén ‘marcio, fradicio’ (detto di terreno) e il cimr. braenar ‘maggese’, ‘terreno improduttivo’. -éo sarebbe una formante collettiva (in questo caso associata a un geonimo).
Al toponimo veneziano S. Giovanni in Bràgora > Bràgola si può attribuire il significato di ‘terreno fangoso, paludoso’.
D. Olivieri (1961): 122; J. B. Trumper, M. T. Vigolo (1998): 230-1; X. Delamarre (2008): 84.

Bràies - Prags
po.
BZ
Localmente Proogis, Proowis; ladino Braies.
Pragas (965), Prages (dal 1085), Prags (1298, 1448), Prages (1346), Pragx (1379), lacus de Brages (1471).
•• Secondo G. B. Pellegrini, risulta omofono dei toponimi svizzeri Bragas (Igis) e Val Braga (Seewis), e potrebbe derivare – con metatesi – dal prelat. *barga ‘capanna’ (cfr. il dolomitico e veneto barka, barča ‘vecchio fienile’). L’italiano Braies «tende a riprodurre l’etimo, in forma plurale con -s del neolatino (?) e -g- > -j- (?)».
Per K. Finsterwalder deriva forse da un gallo-romano brācu [*brăcu-] ‘pantano’ – dal celt. BRACU- ‘pantano, terreno paludoso’ secondo E. Kühebacher, che nota come «la -g- intervocalica cambi localmente anche in altri nomi con -w-», cfr. per es. Drawe, la più antica forma per Drau (io. Drava), pronunciata nel dialetto antico Trooge.
J. Pokorny riporta, tra gli altri, il gallo-romano *bracu- (*mraku-) ‘pantano’ (‘Morast’), il cimr. brag-wellt ‘erba di palude’ [cui si può accostare il cimr. bragwair (= brag-gwair) = ‘fieno di brughiera’ (una graminacea di palude)], il gall. mercasius ‘palude’ [in Acta Sanct.] – assieme al gall. bracis ‘cereale per preparare il malto’ < celt. *mraki- – sotto la base ie. *merk-, merĝ-, merək-, merəĝ- ‘marcire, ammollare’, *mrəku- ‘palude’. *Bracu- viene poi registrato da J. Degavre (con il valore di ‘fango’) ma non da X. Delamarre.
Per quanto attiene alle continuazioni romanze, in a. francese, accanto ai maschili brai, brau, compare un nome femminile braie, tutti e tre dal «gall. *bracu» e col significato di ‘fango’ (solo brai continua nel medio francese). S. Gendron cita diversi toponimi derivati dal gall. *bracos (da cui l’a. francese brai), e anche da *braca, ‘palude’: tra gli altri, Bray-sur-Seine (Seine-et-Marne), Bray (Eure), Bray-en-Val (Loret), Braye-sous-Faye (Indre-et-Loire), Brey-et-Maison-du-Bois (Doubs), Broye-les-Loups-et-Verfontaine (Haute-Saône), Braux (Aube), Braux-Saint-Remy (Marne). Ma per X. Delamarre Bray (Saône-et-Loire) e Braye (Indre-et-Loire) derivano rispettivamente da *brigiā e *brigsis ‘la collina’.
G. Rohlfs pone alla base sia di Braia (Lombardia, Piemonte) sia dei toponimi francesi Braye, una voce celt. brag ‘palude’. Va poi ricordata la voce italiana brago ‘fango, melma, specie di porcile’, in D. Alighieri anche braco, dal «lat. parl. *brăcu(m) ‘palude’ (bracus sive vallis in un doc. dell’834-45) di provenienza celt.».
Vd. anche Barzago e Bragoléo.
G. B. Pellegrini (1990a); C. Marcato (1990), s. v. Barga; G. B. Pellegrini (1990b): 170; Karl Finsterwalder (1990, 1995): 182, 401, 967; E. Kühebacher (1995-2000), Band 1 e Band 2; J. Pokorny (2005): 739; M. L. Porzio Gernia (1981): 98; J. Degavre (1998); A. J. Greimas, T. M. Keane (1992); A. J. Greimas (1992); S. Gendron (2003): 186-7; G. Rohlfs (1990): 50; M. Cortelazzo, P. Zolli (1979-1988), s. v. bràgo; J. Lacroix (2003): 94-5; X. Delamarre (2008): 84; X. Delamarre (2012): 88-9.


Brescia
po.
Brixia (Catullo, XVII, 33; Livio, XXXII, 30; Plinio, N. H., III, 130); Actum Brixia (761), infra civitate Brixia (1039-1041), Acto Brisia (1042), Actum civitate Brisia (1043).
•• Dal lat. Brixia, d’origine celt., da un *brig-s-iā ‘le Alture’ (‘la collina, l’altura’, secondo X. Delamarre, da *bʰr̥ĝʰ-syā), formato sulla base *brig-s- < *brig- ‘altura’ (dall’ie. *bʰerĝʰ-, *bʰr̥ĝʰ- ‘alto, eminente’); vd. Brescello.
C. Marcato (1990); G. B. Pellegrini (1987): 103-4; G. B. Pellegrini (1990b): 113-4; X. Delamarre (2008): 87; A. Falileyev (2007); P. Anreiter, U. Roider (2007): 105-6; X. Delamarre (2012): 89.

Bressanone - Brixen
po.
BZ
Ladino Persenù, bellunese Persenón.
Prixina (788), Pressena (827 o 828), Prichsna (901), ad Prihsinam (927), Brixina (950; latino medievale), iuxta Prihsen (XII sec.), Brichsen (1277), Brihsen, Brixen (1297).
•• Da una forma *Brig-s-inā (‘la collina, l’altura’), dalla base celt. brig-s- < brig- ‘altura’ (vd. Brescia).
Dal. lat. Brixina (attestato in testi tedeschi dal 950) si sono avute le forme Prixina, Prichsna (da *Brixna; forme a. alto tedesche con P- bavarese e k > ch, dall’VIII sec.) > Pressena (nell’827, con pronuncia romanza) > Persenù, Persenón > Bressanone.
G. B. Pellegrini (1990a); G. B. Pellegrini (1987): 103-4; G. B. Pellegrini (1990b): 113-4; Karl Finsterwalder (1990, 1995): 67, 665; Kühebacher (1995-2000), Band 1; P. Anreiter, U. Roider (2007): 105-6; X. Delamarre (2008): 87; X. Delamarre (2012): 89.

Byrrus, Burrus
io.
BZ
Nomi antichi (VI e VIII sec.) del corso inferiore della Rienza.
Burrus (secondo A. Falileyev, in Venanzio Fortunato, Vita sancti Martini, IV, 648); Norica rura petens, ubi Byrrus (pyrrus MS) vertitur undis (secondo A. Holder, ibidem); Byrrus (secondo G. B. Pellegrini, in Vita sancti Martini, 267); Dravumque et Byrrum fluvios (Paolo Diacono, II, 13); Pirra (893, 995, 1002, 1048).
•• Secondo G. B. Pellegrini, dalla forma lat. Byrrus è forse derivato, con l’aggiunta di suffissi, l’idron. attuale Rienz, italiano Rienza; improbabile invece una connessione con l’idron. Rhenus.
Per A. Falileyev invece la forma lat. Burrus potrebbe essere di di origine celtica, e significare ‘fiume forte, gonfio’: cfr. l’a. irl. borr ‘gonfiato’ e il cimr. bwr ‘grosso, forte’. Si potrebbe perciò ricondurre a un tema gall. burro- ‘gonfio’, ‘fiero, insolente’, da cui anche un Burrus NP.
Byrrus però va forse considerato una variante (grafica) di Burrus, o piuttosto di *Birrus < gall. *birros ‘corto’ (NP Birrus, a. irl. berr, cimr. byrr ‘corto’; cfr. anche birros, birrus ‘mantello corto’, voce che nell’Editto di Diocleziano del 301 venne riportata nella forma byrrhus); cfr. l’idron. francese Berre (Aude) < birrā ‘la corta’ — dal tema *birro- piuttosto che da *berwo- ‘gorgogliante’ —, Birra fluvius nel 737 (Byrra in A. Holder).
E. Kühebacher propone come etimo una radice ie. *bhier- ‘mormorare’, mentre suggerisce soltanto che *Birr- risalga a una possibile base *Birs- [da un ie. *bhr̥s-?], appartenuta a una qualche lingua preistorica parlata in zona.
La P- delle forme medievali (Pirra) rispecchia la mutazione b- > p- del bavarese. Anche il cambio di genere Byrrus (forma d’origine preromana), Pyrrus > Pirra dovrebbe essere attribuibile a quella parlata (cfr. Rionzus > Rienz). Pirra, come nome del fiume principale della Pusteria occidentale, è attestato fino all’XI secolo.
G. B. Pellegrini (1990a), s. v. Rienza; A. Falileyev (2007), s. vv. Burrus fl., Birra fl.; X. Delamarre (2007); X. Delamarre (2008): 94, 75; X. Delamarre (2012): 79; J. Lacroix (2005): 171-2; A. Holder (1961-1962); A. Dauzat (1978); Karl Finsterwalder (1990, 1995): 977-982, 985 sgg.; E. Kühebacher (1995-2000), Band 2: 264-5.

Caenia
oo.
«Monte alle sorgenti del Varo».
amnis Varus, ex Alpium monte Caenia profusus (Plinio, N. H., III, 35).
• G. Petracco Sicardi lo associa ipoteticamente – anche per l’incertezza sul valore attribuibile ad ae, che potrebbe essere quello di un vero dittongo oppure di una ē aperta – a un etnico e ad alcuni NNP: Caenicenses, nome di un popolo della Gallia Narbonense menzionato da Plinio (N. H., III, 36) e «attestato su monete nella forma καινικητων», al gen. pl. [ΚΑΙΝΙΚΗΤΩΝ (Kainikētōn)]; Caenicus, Caeno, Caenonius, che «dovrebbero essere di origine celtica».
Per X. Delamarre l’etn. Kainikētes (così come i NNP Cainolus, Cainonus, Cainus) deriva da un tema caino-, mentre alla base dei NNP Caenicus (<*cēni-co-), Caeno, Caenonius vi sarebbe il tema cēno-, cēni- ‘lungo, lontano’; cfr. l’a. irl. cían ‘lungo (durata), lontano’, da *cēno- < *keino-.
G. Petracco Sicardi, R. Caprini (1981): 42; X. Delamarre (2007); X. Delamarre (2008): 114.

Cagnò
po.
TN
Dial. ciagnòu.
de Cagno (1117), de Cagnao (1185).
• Deriva probabilmente da una forma *Cainavum, con evoluzione fonetica -avum > -ao > . Pare dunque formato sul tema prelat. [caino- o cēno-?] dell’etn. a. Caenaunes (Plinio, N. H., III, 20) e del poleon. Càines - Kuens (G. Mastrelli Anzilotti).
Il toponimo potrebbe essere stato originariamente anche un *Cāniāuon ‘proprietà di *Cānios’.
C. Marcato (1990); A Prati (1977): 19.

Càines - Kuens
po.
BZ
Cainina (720 o 718), Cheines (931, 1157), Chunes (1220), Chains (1291), Caihas, Kaims, Kayns (XIV sec.), Kuens (1447).
• È un toponimo di origine preromana. La forma più antica Cainina richiama la radice dell’etn. Caenaunes, «uno dei popoli (retici?) attestati, secondo Plinio, Nat. Hist. 3, 20, nel Tropaeum Alpium» [Genaunes, in Plinio, N. H., III, 137]. Va confrontato anche con il toponimo Cagnò e l‘oron. Caenia.
E. Kühebacher, che non prende in considerazione Cainina, pensa invece a una variante del NP a. alto tedesco Kuono, con ampliamento in -s-. Nelle varie forme storiche si riscontra il passaggio ei, ai > ua, ue davanti a nasale, che è esito dialettale.
G. B. Pellegrini (1990a); Karl Finsterwalder (1990, 1995): 1095; E. Kühebacher (1995-2000), Band 1.

Comèlico
co.
BL
Regione della Provincia di Belluno suddivisa in Comelico Inferiore (Comuni di S. Stefano di Cadore, S. Pietro di Cadore e una parte di Danta: Mezza Danta di Sotto) e Comelico Superiore (Comuni di Comelico Superiore, S. Nicolò di Comelico e una parte di Danta: Mezza Danta di Sopra).
Dial. comélgu, cumélgu, comélgo, comèlgo; etn. comeliàn.
vicineam de Comelico (1186), de Comeligis (1289), in Comelich (1296).
•• È stato interpretato da C. Tagliavini come un deverbale, con il valore di ‘luogo di comunicazione’ (o ‘di transito’), da ricondursi alla voce communicare (attraverso le forme *comulicà, comeligà, comélgu e varianti, «con dissimilazione (m)m : n > m : l»), in riferimento al passo di Monte Croce di Comelico che collega la Val Pàdola alla Valle di Sesto e alla Pusteria. Ma, come osservano M. T. Vigolo e Paola Barbierato, «tale ipotesi sembra spiegare, più che il toponimo stesso, l’etnico Comelican e il più recente Comelian».
D. Olivieri invece, pensa ad una formazione in -ĭcu dal NP lat. *Comellus, nome che K. Finsterwalder ritiene celtico.
Si può qui formulare un’ipotesi di derivazione da antroponimi di origine gallica come Com(m)us, Commos, oppure *Co-melus, formato da co- ‘con, ugualmente’ e -melus ‘dolce’.
Come ricordano Vigolo e Barbierato, potrebbe anche trattarsi di un diminutivo di comba ‘valle stretta e allungata’ (< gall. *cŭmba ‘cavità, valle’), con assimilazione mb > m, da confrontarsi con Pian de le Comelle (Val del Bióis) e Le Vare de la Komèla (Pécol di Zoldo Alto) — vd. S. Pellegrini, I nomi locali della Val del Biois, Estratto dall’ “Archivio per l’Alto Adige”, Annata LXXI, Firenze 1977, con commento etimologico di G. B. Pellegrini, pp. 114-5.
D. Olivieri (1961): 16; C. Marcato (1990); "www.comelicocultura.it"; Karl Finsterwalder (1990, 1995): 79; A. Draxl (2002): 85; M. T. Vigolo, P. Barbierato (2007); G. Secco (1991): 127; X. Delamarre (2007); X. Delamarre (2008): 121, 223.

Dobbiaco -Toblach
po.
BZ
Localmente Towla.
Duplago (769), vicus Duplagum (827), Doublach (893, 903), Dopplach (1112), Topplach (1020), Toblach (1150, 1150-1159), Tabelac (1271), Toblag (1300, 1329), Toblacum (1327), Toblach (1390, 1445, 1500); Toblach/Tobbiacco (1817), Toblaco (1910), Dobbiaco (1923).
•• Per G. B. Pellegrini è un toponimo d’origine prelat. tedeschizzato anticamente, come dimostra la mutazione d- > t- (IIª rotazione consonantica). È formato con un probabile suff. pretedesco -acu > -ago «conguagliato col tedesco -ach», da una base di non facile individuazione (da escludere possa derivare da un *tob- ‘burrone’).
Secondo K. Finsterwalder [(1990, 1995): 966-7] va ricondotto a una radice che ha prodotto lo slavo dublu ‘fango, pantano’, seguita da un suff. celt. -ācu. E. Kühebacher ritiene che una forma *Dublacu sia passata al tedesco nell’VIII sec., con gli attesi cambiamenti della rotazione consonantica a. alto tedesca: d- > t-, -c- > -ch-.
Stando a J. Pokorny però, la radice ie. *dheub-, *dheup- ‘profondo’, da cui dovrebbe discendere dublu, ha prodotto, col significato di ‘fango, pantano’, il lettone dubl’i, mentre nelle lingue slave si ritrovano piuttosto voci con -p, come il russo dupłó ‘cavità di un tronco d’albero’.
Va comunque esclusa un’origine slava del toponimo: secondo Karl Maister, esperto di storia locale di Anras (in Alta Pusteria, nel distretto di Lienz), «non compare nessun nome slavo» a ovest del Kristeinerbach, che oggi segna il confine tra i comuni di Anras e Assling e che nel 769 (vd. Innichen) costituiva molto probabilmente il confine occidentale del territorio abitato dagli Slavi (chiamati Wenden da H. Waschgler) insediati nell’Alta Val Pusteria e oltre. Infatti, come rileva H. D. Pohl [in "http://members.chello.at/heinz.pohl/Landschaften.htm"; vd. anche H.-D. Pohl (2002): 57], «gli Slavi non si sono mai spinti tanto a ovest (il confine occidentale del territorio slavo era la Lienzer Klause [la Chiusa di Lienz])» – vd. anche quanto affermato in K. Finsterwalder (1990, 1995): 973-4, 1019-20, e il coron. Pusteria, Val.
Di parere diverso però E. Kühebacher, il quale pensa che gli Slavi alpini avessero attorno al 600 «un nucleo insediativo» presso Dobbiaco, precisamente nell’attuale località di Gratsch (ital. Grazze, a sud-ovest del capoluogo), il cui nome — unico toponimo di origine slava nella Val Pusteria sud-tirolese — deriverebbe da una voce slava gradisc- ‘luogo fortificato’ [o piuttosto da «gradec „kleine Burg“, antico *gradьcь», da cui Graz (Stiria)? vd. "http://wwwg.uni-klu.ac.at//spw/oenf/name1.htm"], ma per Finsterwalder sarebbe invece da accostare al Gratsch nome di una frazione di Merano, riconducibile al lat. quadra, quadrat-.
Si può, tutto sommato, ipotizzare un etimo diverso: un *Dublacum, con terminazione -ācum forse di tipo prediale, riconducibile a un nome celt. Dubila, *Dubula, derivato (forse con suff. diminutivo o ipocoristico) dal gall. dubus, dubis, dob- ‘nero’ (< ie. *dheubh-): cfr. il NP Dubila e tre toponimi francesi derivati dall’a. *Dubulā: gli idron. Deule (Nord; Doulam nel 1146, Dupla nel 1275) e Déoule (Htes-Alpes; Deula nel 1496), e «la foresta della Double» (Dordogne e Gironde; Dobla nel 1212, Dupla nel 1365) — ‘la Nera’ o ‘la Scura’ è denominazione adatta anche ad una foresta di abeti.
G. B. Pellegrini (1990a); Karl Finsterwalder (1990, 1995): 39, 401, 966-7; E. Kühebacher (1995-2000), Band 1: 139-40, 477; E. Kühebacher (2003): 6; J. Pokorny (2005): 267-8, 263-4; H. Waschgler (1969); X. Delamarre (2007); X. Delamarre (2008): 152; X. Delamarre (2012): 143.

Druogno
po.
VB
•• Toponimo privo di attestazioni antiche o medievali. Secondo D. Olivieri, deriverebbe dall’aggettivo lat. draconius, da draco, draconis ‘frana, scoscendimento’.
Potrebbe invece riflettere un NP antico, probabilmente d’origine celtica: un Duronius, passato a *Druonius per metatesi; o un *D(e)ruonius da deruo- ‘quercia’ (da un eventuale esito *Deruonius > *Daruonio- e, con metatesi, *Dravonio- potrebbe forse esser derivata la forma dial. dravégn). Nel sito dell’Ufficio Informazioni Turistiche di Druogno ["http://www.druogno.it/chisiamo.htm"], si suggerisce poi un *Druonium col significato de ‘il paese dei roveri’, formato da una radice celt. dru- e da -ium, desinenza di gen. pl. lat. (che appare, più che altro, una forma “ibrida” inverosimile).
X. Delamarre analizza Duronius come un Duro-nio- ‘(originario) del borgo’ (dal gall. *dŭron ‘corte, proprietà terriera’ > ‘forum, mercato controllato’ > ‘borgo’), o un Du-ronio- (costituito con il pref. «peggiorativo» du- ‘cattivo, mal-’ e un tema rono-). Cfr. innanzi tutto i NNP di origine celt. Duronia, Durius, Durio, Ronius, Su-ronus, Ver-ronius; Derua, Deruonia, e il teonimo Deruon(n)ae.
Di recente X. Delamarre per Druogno ha proposto una forma originaria *drauonion ‘proprietà di Dravonios’, da un non attestato *Dravonius (tema *drau̯o- ‘?’).
A. Rossebastiano (1990), s. vv. Druogno, Dronero; X. Delamarre (2007); X. Delamarre (2008): 156, 140-1; X. Delamarre (2012): 22-3, 141, 145.

Egna - Neumarkt
po.
BZ
Endidae (Itinerarium Antonini, 275, 6), Inia (Cosmografia ravennate, IV, 30, 253; lettura incerta); forse castrum Ennemase [< Ennae mansio? (cfr. Sive padi ripis athesim seu propter amoenum, di Giovan Battista Pellegrini, Johannes Kramer, 1991, p. 299)] (Paolo Diacono, III, 30); Enna (1018; 1030-1039), Enne (dat.; 1133), Egna (1170), Novum forum (1189, 1260), burgum novum de Egna (fondato nel 1189), Neuwenmarcht (1300 c.a).
• Toponimo originario prelatino, che corrisponde alla mansio romana di Endidae (loc.). Secondo G. B. Pellegrini l’italiano Egna discende, con evoluzione «regolarissima», da una forma Endia (cfr. verecundia > *vercundia > vergogna).
Se toponimo di origine celtica, può esser collegato al gall. ende-, endo-, endu- (> indo-), variante apofonica o fonetica di and(o)- ‘molto, grande’, base di NNP quali Andia e Andenius (o variante di ando-, andu- ‘?’ dei NNP Andonius, Andotus, Andus?); oppure dipendere da un endo- corrispondente al greco ἐνδο- (endo-) ‘dentro’. Cfr., con base end-, ind-, i NNP Endamus, Endius, Enduus, Indedius (quest’ultimo, però, forse equivalente al gall. andedios ‘inferiore’, da *ande < *n̥dhe + suff. -di̯o-).
K. Finsterwalder ha proposto – rispettivamente nel 1960 e nel 1966 – le seguenti evoluzioni: Endi(d)ae > *Endie > *Enje > Enn, italiano Egna; Endidae > (per scomparsa delle d intervocaliche) Inia, Enne- (Enne-mase in Paolo Diacono) > Enn, italiano Egna.
G. B. Pellegrini (1990a); "http://books.google.it/books?id=fhpLG-xu3xYC&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false"; A. Holder (1961-1962); Karl Finsterwalder (1990, 1995): 79, 400; E. Kühebacher (1995-2000), Band 1; X. Delamarre (2007); X. Delamarre (2008): 45-7.

Innichen - San Candido
po.
BZ
Da L. Bosio e altri studiosi è stata identificata con Innichen-San Candido la stazione stradale romana di Littamum dell’Itinerarium Antonini (III sec. d.C.). Tale centro subì distruzioni e una riduzione abitativa tra il III e il V sec. d.C. (venne in parte abbandonato, specie attorno alla metà del V sec.). Nell’VIII sec., in un territorio ormai «brullo e disabitato», ove sorgeva Littamum esisteva la località chiamata India o Campo Gelau, in cui, per iniziativa del duca bavaro Tassilone III, venne fondato un monasterium benedettino (inizialmente dedicato a S. Pietro, e successivamente al martire Candido, dopo la donazione di sue reliquie da parte di Roma, avvenuta attorno al 775). Da tale creazione nacque l’attuale San Candido.
Localmente Inchn.
locum nuncupantem [nuncupatum] India quod vulgus [vulgo] Campo Gelau [‘Campo Gelato’?] vocantur [vocatur] (769), Indea (770), Inthinga (o Intichinga?; 788), Inticha (816, 926), Intihha (822), ad Intiha, Inticha (827/828), ad seruitium sancti Candidi ad Inticam (972), Intichinga (985, 1075), Inticha (994), Intichingen (1070, 1208), Intichina (1140), Indechingen (1213), Inichingen (1299), Inchingen (1349, 1494), Innichingen (1590), Inichen (1600 c.a), Innichen (1770). [Cfr. "http://www.bayerische-landesbibliothek-online.de/cozrohregesten2"; "http://francia.ahlfeldt.se/browse_document.php?qid=786&offset".]
•• Di origine prelatina, da connettere probabilmente a Endida (vd. Egna); per K. Finsterwalder, deriverebbe da un antico *Intica, dal NP Indius (G. B. Pellegrini).
Al nome India o *Intica – con d > t esito della IIª Rotazione Consonantica (= R. C.) – si sarebbe aggiunta la terminazione germanica -inga > -ingen, con successivi sviluppi nelle consonanti, e relative incertezze grafiche, attribuibili all’evoluzione del bavarese.
K. Finsterwalder suggerisce in effetti un originario Indica (e un pretedesco *Indîco), dal NP celt. Indius, da confrontare, secondo E. Schwarz, con l’a. irl. ind ‘decorus’ (o ‘di bella presenza, magnifico’) [in A. Holder (1961-1962), s. v. -indo-, si legge: «air. -ind, in ál-ind decorus»; secondo però J. Vendryes (1959-), s. v. álind, questo aggettivo a. (= ‘bello’) è probabilmente costituito dal pref. ad- + l’agg. laind (lainn ‘chiaro, brillante’)]. Il toponimo Indica (o Indicum), di formazione romanza, è comparabile con Litricum > Litriga (Belluno) [si tratta probabilmente del ruio di Litriga (Litrega nel 1547), Vittorio Veneto, TV; vd. D. Olivieri (1961): 6], dal NP Litrius, e con Comelico.
Le forme Inticha e simili derivano da un Indica udito dai bavaresi già intorno al 600, prima della R. C.; India, Indea sono invece prodotte da un’evoluzione successiva romanza, attraverso un *Indiga. Intica (dal 972) è una latinizzazione delle forme parlate e scritte Inticha, Intiha (le forme con la c sono più frequenti nei documenti tedeschi del XIII-XIV sec.). In Intichinga e Intiha è realizzata la R. C. del VII-VIII sec.
La forma trisillabica attuale viene spiegata da E. Kranzmayer sulla base della «legge pusterese delle tre sillabe». In seguito ad indebolimento della sillaba centrale (K. Finsterwalder menziona una forma Intchen, evidentemente ipotizzata) si sarebbe prodotto un «allungamento» (Zerdehnung). Non è chiaro però se si debba partire da un -īcum, -īca – cfr. *Indîco – o da un -icum, -ica, come nel caso di Comelico.
Secondo E. Kühebacher, la forma *Indica sarebbe dovuta a contrazione, originatasi in ambito romanzo, di un celt. *Indiaca ‘proprietà di Indius’, quindi un prediale dal NP Indius (nome di «un possidente romanzo», secondo L. Dal Ri e S. di Stefano [Littamum: genesi, vita e trasformazione di un insediamento stradale dell’area alpina noricense, in Littamum. Una mansio nel Noricum, a cura di Lorenzo Dal Ri, Stefano di Stefano, BAR International Series 1462, 2005, p. 97, n. 77]. Inoltre, i mutamenti d > t e c > ch (che han portato a Inticha) sono specifici della R. C. dell’VIII-IX sec.; la forma scritta India dipenderebbe da Anno, estensore del documento del 769, cui mancava un segno alfabetico per il suono fricativo corrispondente a ch, e che realizzò la lenizione t > d; la t di Intich- scomparve nel XIII sec.; la terminazione bavarese -ing(en) è documentata dalla fine del X al XVIII sec.
India, se originario – K. Finsterwalder però esclude una forma iniziale latina India che avrebbe dovuto subire la «palatalizzazione della d (nd)» (vd. Egna) e la riduzione a due sillabe –, potrebbe essere una forma aggettivale di appartenenza (con suff. collettivo in -ia?), concordata con un sostantivo femminile (casa, curtis...) o neutro plurale (prata...).
Quanto al NP Indius, si può ipotizzare un gall. *In-dios / Endius; oppure *In-dio- ‘(che ha) il divino in sé’, da dio- < di(u̯)o- ‘dio, divino’, piuttosto che dalla base *diyo- ‘giorno’, che X. Delamarre individua nei NNP Du-dio (‘Cattivo-giorno’), Sin-dio (‘Giorno-d’oggi’), Su-dius (‘Bel-tempo’). Non si può poi escludere che Indica rifletta un lat. Indus. Ma nel suo ultimo lavoro X. Delamarre ha ricostruito un *indiācon ‘proprietà di Indios’ per il toponimo francese Injoux (Ain; eccl. Ingiaci, nel XII sec.), connettendolo ai NNP Indus, Inda, tutti da una base *ind- che «sembra gallica».
G. B. Pellegrini (1990a), s. v. San Càndido; L. Bosio (1991): 155; H. Waschgler (1969); Karl Finsterwalder (1990, 1995): 34, 68, 78-9, 428, 660, 967, 969, 996; E. Kühebacher (1995-2000), Band 1; X. Delamarre (2007); X. Delamarre (2008): 162, 142; X. Delamarre (2012): 164.
 
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La collegiata di Innichen

Isarco - Eisack
io.
BZ
Localmente Áisåk (in passato Áisågg).
εἰς τὸν Ἰσάραν (eis tòn Isáran) (Strabone, IV, 6, 9), Isarus aqua [secondo G. B. Pellegrini, in Venanzio Fortunato; dovrebbe trattarsi però di una svista, poiché è invece presente in Ovidio, Consolatio ad Liviam, 386, un Isarcus aqua, citato anche da A. Holder, che però va identificato piuttosto con il Visurgus, Visurgis, attuale Weser (o con l’attuale Isar, Baviera)]; Isac (1041, 1180-1190), ab Ysarco flumine (1100 c.a), Isarchus, Ysarcus (1100), inter Atesim et Isarcum (1163), Ysag (1165), ad fluvium Ysach (1200-1208), Isach (1230), Eysach (1290), de Isaco (1295), Eisach (1298), Eysach (1313, 1318, 1332), Eysachk (1314), Eisack (1315, 1507, 1517), der Eysagg (1551).
•• Secondo G. B. Pellegrini, si tratta di «un idronimo di origine prelatina, connesso col nome degli Isarci [...] va inquadrato nel tema idronimico [ie.] *eis-/*ois-/*is- ‘muoversi velocemente’», cui si riconduce anche l’idron. a. Aesontius > Isonzo. Per A. L. Prosdocimi alla base vi è la radice ie. *H2eis-, con grado apofonico ridotto nei temi Isaro-, Isarko-.
Probabilmente l’etn. Isarci (< *Isarici?) significava ‘quelli che abitavano sull’*Isaros (o Isara)’; a una data epoca poi, il derivato Isarcus è passato a indicare anche il fiume.
X. Delamarre lo collega agli idronimi antichi Isara, attuali Isère e Oise (Francia), e Isaras, attuale Isar (Baviera), ‘l’impetuosa, la rapida’, o piuttosto ‘la vigorosa’, e ai NNP Com-isarus e Cru-iserus, dall’aggettivo ie. *isərós (*ish1-rós ‘ispirato, vigoroso’) < *eis(ə)- [dalla base *iso- ‘veloce, potente (di fiume che scorre)’ per A. Falileyev]. Si tratterebbe di un vocabolo ie. precelt. (“europeo antico” − infatti la rad. *eis(ə)- non ha riscontro nel celtico insulare), «senza dubbio compreso dai Celti in un’epoca antica della loro storia linguistica, poi fossilizzato nell’onomastica, specie come idronimo (“delessicalizzato”)».
L’attuale denominazione tedesca Eisack presenta l’esito i accentato > ei (verificatosi già nel XII sec.) e una terminazione -sack da un precedente -sagg, a sua volta dal -sarc di una forma con accento sulla prima sillaba; nel VII-VIII sec. in effetti, la mutazione k > ch non è avvenuta.
G. B. Pellegrini (1990a); A. Holder (1961-1962), s. v. Isarcus; G. B. Pellegrini (1987): 381; G. B. Pellegrini (1990b): 369; A. L. Prosdocimi (1988): 393; X. Delamarre (2007); X. Delamarre (2008): 191; X. Delamarre (2012):141; A. Falileyev (2007), s. vv. Isara fl., iso-; Karl Finsterwalder (1990, 1995): 1030-1; E. Kühebacher (1995-2000), Band 2.

Littamum
po.
BZ
Stazione stradale romana del I-IV sec. d.C., localizzabile in Innichen - S. Candido.
Comprendeva una mansio (forse nel settore nord-orientale di Innichen, a est della collegiata; probabilmente allacciata da un diverticolo alla via per compendium Aguntum-Vipitenum, che passava un po’ più a nord), delle terme (presso l’odierno ospedale), e un «agglomerato vicano» sorto attorno alle strutture pubbliche. La stazione venne abbandonata nella IIª metà del IV sec. [cfr. L. Dal Ri, S. di Stefano, cit., pp. 78-102].
Littamo (abl.; Itinerarium Antonini, 280, 1).
•• G. R. Isaac ricostruisce un toponimo celt. originario *Littamom, superlativo in -tamo- interpretabile come ‘Luogo molto esteso’, in quanto riconducibile a una base *lit- < *pl̥th2- (dalla radice ie. *pleth2- ‘largo e piatto’).
Similmente, X. Delamarre individua un originario *Littamon ‘l’esteso’, da una forma *Lit(u)-tamo- ‘il molto largo (luogo)’, superlativo di un *lit(u)- < *pl̥th2-u- ‘vasto’. Cfr. il gall. litano- ‘largo’, l’a. irl. lethan, l’a. br. litan ‘largo, vasto’, i NNP Litanus, Litania e i toponimi Litana (silva), Litano-briga. → Innichen - S. Candido.
L. Bosio (1991): 155, 173, 183; A. Falileyev (2007); X. Delamarre (2007); X. Delamarre (2008): 203; X. Delamarre (2012): 179.

Lutago - Luttach
po.
Valle Aurina - Ahrntal, BZ
Localmente Luchta.
Luchdach (1237, 1254, 1360), Luttach (1348, 1590), Luchedag (pronunciato Luckedag; XV sec.), Luchta(ch) (1407), Luttacher (1444), Luchtacher (1449).
•• Secondo K. Finsterwalder, è una formazione in -ācu da un NP celt., come Lucotos o Lugetos.
E. Kühebacher precisa si tratti di un «prediale di origine celtica» da Lucotos, «nome di persona celt. documentato», col valore di ‘podere di Lucotos’. Attraverso l’accentuazione sulla prima sillaba e la rotazione consonantica a. alto tedesca, realizzatesi prima del 1000, da *Luctácu si sarebbe giunti a Luchtach, il cui suffisso, coincidente col suff. tedesco -ach, si pronuncia(va) localmente -a (la forma dial. Luchta venne scritta fino al XV sec.). La forma ufficiale Luttach comparve probabilmente in ambito cancelleresco.
X. Delamarre ricostruisce i «toponimi personali» *lucotiācon ‘proprietà di Lucotios’ (> Ligugé, Vienne), *lucotācon ‘luogo da topi’ (> ± *Logay), *lugetācon ‘proprietà di Lugetos’ (Lohéac, Ille-et-Vilaine). Lucotios — con Lucoti-cnos, ma non *Lucotos, non attestato — si riconduce a una base celt. lucot- ‘topo’; Lugetos (forma latinizzata Lugetus) è privo di etimo – forse è da porre in relazione con il gall. luge ‘per il giuramento’ (nella tavoletta di Chamalières), l’a. irl. luige ‘giuramento’, dall’ie. (celtico e germanico) *leugh-, *lugh- ‘id.’.
D. Ellis Evans analizza un Lugoto-rix, ritenendolo raffrontabile forse con Lugetus e le forme in lug- (collegabili al tema lugu- del teonimo Lugus), piuttosto che variante di un *Lucoto-rix, da lucot-.
Karl Finsterwalder (1990, 1995): 35, 966-7; E. Kühebacher (1995-2000), Band 1; A. Holder (1961-1962); J. Pokorny (2005); X. Delamarre (2007); X. Delamarre (2008): 209-10; X. Delamarre (2012): 183; D. Ellis Evans (1967): 98-9, 219-20; J. Lacroix (2007): 156-7.

Maia - Mais
po.
Merano, BZ
Le attuali Maia Alta (Obermais), Maia Bassa (Untermais) sono frazioni di Merano.
Localmente Moas.
urbs Majense, Majes, castrum Magense, urbs Magensis, forum ad Magias (760), Meies (931-937), Mais (1147, 1213), in superiori Mais (1173-1174), de Mayeso (1253), Nidermays, Obermays (1290).
• Per E. Kühebacher – che non cita però la romana statio Maiensis ubicabile nell’attuale Maia Alta – alla base del toponimo dovrebbe esserci il lat. maius ‘maggio’. Il lat. -aj-, -agi- sarebbe venuto a coincidere con l’a. alto tedesco -ei-, per cui dalle forme Majes, Magias si sarebbe originata quella locale Moas (con [ɔ], cioè o aperta) secondo uno sviluppo tipicamente bavarese. Urbs Magensis corrisponderebbe quindi a un poleon. Maienstadt.
Bisogna forse invece partire da un nome d’origine celt. Magia, per il quale vd. Maiensis, Statio.
Karl Finsterwalder (1990, 1995): 1099; E. Kühebacher (1995-2000), Band 1.

Maiensis, Statio
po.
Merano, BZ
Stazione di dogana situata lungo la via Claudia Augusta, «nella zona dell’odierna Maia Alta (Obermais)» (L. Bosio).
statio Maiensis (iscrizione); Castrum Maiense (Vita S. Valentini) [castrum Maiense, nel 724, secondo K. Finsterwalder].
• Secondo A. Falileyev, potrebbe esser toponimo celtico, da comparare con i NNP d’origine celt. Maius, Maianus, Maio, Maionus, derivati almeno in parte da *māju(s)- < *mājōs- ‘più largo, più grande’ (cfr. anche il cimr. mwy e il lat. maior ‘più grande’), e in parte assonanti con il lat. Maius ‘maggio’ e il teonimo Maia; o eventualmente da ricondurre al tema mago- ‘campo’, ‘mercato’, con esito g intervocalica > i.
Si può inoltre ravvisare in Maiensis un aggettivo di *Maia, derivato – tramite scomparsa di -g- in posizione intervocalica – dal NP Magia tratto dall’aggettivo femminile *magi̯a ‘grande’ < *magi(o)- ‘id.’. Cfr. i personali Magius, Magia, Magiorix, Maiorix. Si veda quanto indicato per il toponimo Maia - Mais.
L. Bosio (1991): 136; Karl Finsterwalder (1990, 1995): 1099; X. Delamarre (2007); Delamarre (2008): 212-3; A. Falileyev (2007); A. Ernout, A. Meillet (1985); P.-Y. Lambert (1994): 44.

Malles Venosta - Mals
po.
BZ
Localmente Målts.
Malles, Mallis (1094, 1160), Malles (1149), Mals (1266), Malles, Malser perch (1290), Malles, Mals (1390); de Mel (engad.).
• Secondo G. B. Pellegrini, si riconduce al prelat. *mal- ‘monte’; cfr. l’albanese mal ‘monte’ [ie. *mel-, *melə-, mlō- ‘uscire, apparire, sollevarsi; rialzo’ (J. Pokorny)]. «La riduzione a Mals [...] è sviluppo interno neolatino». Le forme Malles e Mallis presentano verosimilmente le terminazioni neolatine -es (nom.-acc. pl.), -is (abl. pl.).
K. Finsterwalder lo confronta con il toponimo a. Dimallum (località presso Durazzo), composto con di- e mal(l)-, base ie. che ha prodotto in alcune lingue termini con il significato non solo di ‘monte’, ma anche di ‘margine, sponda’.
Anche per E. Kühebacher deriva dal preromano *mal- ‘monte’ e ‘pascolo di montagna’. Nella lingua parlata la caduta della -e- nel XII sec. si era già realizzata. La tedeschizzazione del toponimo dovrebbe esser avvenuta presto, infatti s’è conservata la -s nei derivati come Malser ‘abitante di Mals’.
Si potrebbe ricondurre a un abl. pl. *Mallis < NP gallo-lat. Mallus o Mallius, dal gall. *mallos ‘lento, pigro’ (a. irl. mall ‘lento, pigro’) o da malu-, malo-, mallo- (‘alto’?).
G. B. Pellegrini (1990a); J. Pokorny (2005); Karl Finsterwalder (1990, 1995): 1047; E. Kühebacher (1995-2000), Band 1; X. Delamarre (2007); Delamarre (2008): 213-4.

Marlengo - Marling
po.
BZ
Marnea («di ubicazione incerta»; 1102-1122 o 1101-1120), Marniga (?; 1110-1122), Merningen (1141), Marnica (1163), Merninga (1164), Marnigha (1166), Marigna (1166), in vico Merniga (1220), Merning (1220), Merningen (1240), Merlingen (1240), de Marlinga (1271), Marling (dal XV sec.), Marlinga (1496), Marninga (1498).
• Per G. B. Pellegrini, come l’affine Marniga (TN) [Brenzone, VR], potrebbe risalire a una forma marnīca (attribuito a terra, o altro sostantivo femminile), dal preromano marra ‘pietra’, ‘mucchio di pietre’, variante marna (cfr. il francese marne, marl) + il suff. -īca. Il suff. germ. -ing sarebbe «subentrato in un secondo momento».
Secondo K. Finsterwalder, il toponimo originario – Marniga nel XII sec. – potrebbe essersi costituito da un NP longobardo Mārinu (< germ. māri ‘glorioso’) + il suff. romanzo -īcu. La e e la a della prima sillaba, corrispondenti alla ä tedesca (a metafonizzata), stanno a indicare una e con pronuncia bavarese aperta.
E. Kühebacher pensa a un originario *Mariningen (‘i famigliari e possedimenti di Marino’), costituitosi attorno al 1000, dal NP romanzo o longobardo Marinus + il suff. di appartenenza bavarese -ing(en). Per la caduta della -i- della seconda sillaba, il nome passò presto a Marningen, quindi la n mutò in l e la desinenza -en dopo il nesso ng scomparve, come in altri toponimi bavaresi in -ing.
Non si può escludere una formazione NP Marinus [vd. Marnate] + -īca. Anche perché il francese marne (dal 1287) risulta un’alterazione di marle (documentato nei secc. XIII-XVIII), voce derivata dal lat. popolare *margila < gall. (e brittonico) marga ‘marna’ citato da Plinio (N. H., XVII, 42), mentre la forma marl è forse una grafia errata per il francese maerl, merl (dal 1860), prestito dal bretone maerl, merl (a sua volta probabile prestito dal piccardo merle).
G. B. Pellegrini (1990a); X. Delamarre (2008): s. v. glisomarga; A. Rey (1992); A. Deshayes (2003); Karl Finsterwalder (1990, 1995): 35, 624; E. Kühebacher (1995-2000): Band 1.

Marnate
po.
VA
supradictas curticellas Marinadem (892), de Marnate (1147), Marnà (1346)
• Per D. Olivieri e G. Rohlfs deriva dal NP lat. Marinus + il suff. di appartenenza -ate.
Anche tra i NNP di origine celt. si incontra un antroponimo Marinus, assonante con quello lat. e analizzabile come *Mār-ino-, dal celt. māro- ‘grande’.
C. Marcato (1990); X. Delamarre (2007); Delamarre (2008): 217-8.

Naturno - Naturns
po.
BZ
Localmente Laturns.
Naturnes (1109), Nocturnis («ricostruzione latineggiante»; 1158), Nocturnes (1178), de Naturnes (1182), Naturnis (1188), Naturns (1290).
•• Secondo G. B. Pellegrini è di origine prelat., forse «passato al latino in forma di plurale -es».
Per E. Kühebacher l’etimo non è chiaro. A parere di I. Hopfner, il toponimo deriva dal gall. ana ‘palude’ + dûron ‘una costruzione di pietra’, quindi avrebbe il significato di ‘insediamento nella/presso la palude’. La forma attuale si spiega con la caduta della A- di *Anadûron e col passaggio d > t, esito della IIª rotazione consonantica.
Ana, presente nel Glossario di Vienna alla forma acc. anam (per anim), deriverebbe dall’ie. *pen- ‘palude, fango’ (cfr. l’a. irl. an ‘acqua, urina’, en ‘acqua’, enach ‘palude’). P.-Y. Lambert però dubita della sua celticità.
Apparteneva poi al gallico una voce, con ŭ breve, *duron ‘corte di proprietà terriera, mercato chiuso, forum’ > ‘mercato controllato’ > ‘borgo’ (vd. Druogno).
G. B. Pellegrini (1990a); E. Kühebacher (1995-2000), Band 1; X. Delamarre (2008): 43-4, 156; P.-Y. Lambert (1994): 203; X. Delamarre (2012): 22-3, 145.

Naz - Natz
po.
Naz Sciàves - Natz Schabs, BZ
Nouzas (1050), Nouces (1075), Novzas (1075-1090), Nouzes (1140-1147), Nauces (1265-1281), Natz (1290, 1392), Nâtz (1305), Natz (1392), Naucz (1394), Näts (1457).
•• Di origine preromana. L’ipotesi formulata da C. Schneller – derivazione dal lat. nuces – appare «poco verosimile» (G. B. Pellegrini).
Per E. Kühebacher si tratterebbe di un deverbale dal lat. *nasiare ‘macerare la canapa’, di possibile origine gallica; a – una “a chiara” corrispondente all’ä tedesco – sarebbe esito bavarese dell’ou medio alto tedesco. In loco dunque doveva trovarsi probabilmente una torbiera alta, utilizzata per macerare canapa e lino.
*Nasiare (REW 5832a) è ritenuta voce del latino popolare, da cui derivano il medio francese naiser ‘macerare (lino e canapa)’, il savoiardo, provenzale nais e il piemontese nasor ‘maceratoio’. Il verbo *nasiare deriverebbe, secondo P.-H. Billy e J. Degavre, da una voce gall. nasio- ‘piccolo stagno’. (X. Delamarre riporta un *nasion ‘proprietà di Nasios’, attuale Naix-aux-Forges, Meu — Nasios = ‘il nasone’.)
G. B. Pellegrini (1990a); E. Kühebacher (1995-2000), Band 1; A. J. Greimas, T. M. Keane (1992); G. Dal Pozzo (1980); J. Degavre (1998); J. Lacroix (2003): 95; J. Lacroix (2005): 165-6; X. Delamarre (2012): 204.

Nemes, Alpe di - Nemesalpe
oo.
Sesto - Sexten, BZ
Nemes (974, 1187), Naemps (1354).
•• K. Finsterwalder lo associa alla voce gall. nemeton e ai toponimi Nemet-acum [attuale Arras (Francia), in Itinerarium Antonini, 377, 8; 378, 10; 379, 2] e Tasinemetum, tra Villach e Klagenfurt [Tasinemeti in Tabula Peutingeriana, V, 1]; esclude del tutto invece possa derivare dallo slavo nemec ‘tedesco’ (cfr. quanto precisato alla voce Dobbiaco).
Più che al gall. nemeton ‘bosco sacro’, ‘santuario’, Nemes può esser ricondotto a un tema nemo(s)- ‘cielo’ (e ‘celeste’, ‘santo’, ‘sacro’), da cui forse lo stesso memeton dipende; vd. Nimis (forme medievali: Nemas, Nimes, Nemis).
A. Draxl (2002): 88-90; Karl Finsterwalder (1990, 1995): 973-4, 1023; A. Falileyev (2007), s. vv. Nemetacum, Tasinemeti; X. Delamarre (2008): 232-3.
 
Rifugio Alpe di Nemes - Malga Nemes

Nimis
po.
UD
Nemas castrum (Paolo Diacono, IV, 37), Nemas (attorno al 1000), Rodopertus de Nimes (1170), Erluinus de Nimecz (1210), Harluinus de Nemis (1234), Plebs de Nimis (1247).
•• Secondo G. B. Pellegrini, risalirebbe a un termine di origine preromana, «verosimilmente gallico», significante ‘recinto’, ‘santuario’. Tale voce, attestata nella forma Nemas che rappresenta forse un plurale in -as, dipenderebbe da una base *nem-, *nema col valore di ‘recinto’, ‘santuario’, ‘bosco sacro’, e confrontabile con il lat. nemus ‘bosco sacro’ (C. Marcato).
Alla base di Nemas si può riconoscere piuttosto un tema nemo(s)- ‘cielo’ (a cui si possono associare i significati di ‘celeste’, ‘santo’, ‘sacro’), riconducibile alla radice ie. *nem- ‘curvare’ («il cielo essendo concepito come una volta»), o forse connesso con la voce ie. *nebhes- ‘nube’; cfr. l’a. irl., a. br. nem ‘cielo’, il teonimo Nemesis (*Nemos-), i NNP Nemesii, Nemesius, Nemesia, Nimo, Nemonius, e può darsi il teonimo e toponimo Nemausus, Nemausum (*Nemauson ‘proprietà di Nemausos’, forse un originario *Namauson, derivato da una radice *nam- ‘?’), attuale Nîmes (Francia), e l’antroponimo Nemuśus della stele di Zignago (SP). Stando a J. Rasmussen, anche il gall. nemeto- ‘santuario’ potrebbe esser rapportato a nem-os- ‘cielo’.
Per J. B. Trumper, M. T. Vigolo Nimis deriverebbe da *nemeto- ‘bosco sacro’, ‘tempio’.
C. Marcato (1990); G. Frau (1978); A. L. Prosdocimi (1988): 405; J. B. Trumper, M. T. Vigolo (1998): 225; P. Piana Agostinetti, A. Morandi (2004): 697; J. Lacroix (2007): 74-5, 137, 211; X. Delamarre (2007); Delamarre (2008): 232-3; X. Delamarre (2012): 205.

Pennes - Pens
po.
Sarentino - Sarntal, BZ
Localmente Pens.
Bennis (1166 o 1155?), in Pennis (1200), de Bennes (1237), Phennes (?; 1273), Pennes (1288), Pens (1341), poi Pens e Penns.
• Secondo G. B. Pellegrini, può esser ricondotto al celt. benna «nel senso orografico di ‘conca’ (REW 1035)».
Analoga la spiegazione formulata da K. Finsterwalder e E. Kühebacher: il toponimo risale al gall. benna ‘cesto’, alla base – nota il secondo – anche del dial. Penne ‘Wagenkorb’, e qui riferito all’aspetto del fondovalle, simile a un cesto.
In effetti, il gall. benna significava sia ‘cesto’ sia ‘veicolo da trasporto’ (‘veicolo la cui cassa è intrecciata come un cesto’); cfr. il gall. latz. benna ‘tipo di veicolo’, nel glossario di Festo, il francese banne ‘cesto’ e benne ‘veicolo da trasporto’.
G. B. Pellegrini (1990a), s. v. Pennes, Passo di - Penser Joch; Karl Finsterwalder (1990, 1995): 36, 83; E. Kühebacher (1995-2000), Band 1; P.-Y. Lambert (1994): 187.

Pennes, Passo di - Penser Joch
oo.
BZ
Oron. comune nel Trentino.
• → Pennes - Pens.
G. B. Pellegrini (1990a).

Pennes, Val di - Penser Tal
io.
BZ
Diversamente da Pens e Pénsarpåch (Penser Bach), la denominazione Penser Tal non è d’uso locale.
Tal Penns (1590), Pens Ba. (attorno al 1770), Penserthal (1900 c.a).
• → Pennes - Pens.
E. Kühebacher (1995-2000), Band 2: 228-9.

Pidig - Púdio
io.
Valle di Casies - Gsies e Monguelfo-Tesido - Welsberg-Taisten, BZ
Altro nome del Gsieser Bach. Localmente (der) Pídik.
in confinio Pudigin (816), Pudigin, Pudio (916-973), flumen Pydia (1048), in loco Budigun (1070), Budigun (1080), fluvius Pudio (1100), Podyeprukke (1285), Pudien (1317), Püdigen (1321), Pudigen (1328), in der Püde (1336), Pudege in Gesiez (1338), Püdingbach (1343), von Půdigen von Taisten (1349).
•• Secondo K. Finsterwalder, Pudio è d’origine preromana, forse associabile al celt. boduos (anche bodio?) ‘giallo’, da cui un Bodios ‘ruscello giallastro’ [un femminile *bodiā ‘il fiume giallo’ dovrebbe essere alla base degli idronimi francesi Buèges e Boëge e dell’italiano Boggia (Val Bodengo)]. Pudigin, *Pudigun, Budigun era, a quanto pare, il nome dell’insediamento sorto alla confluenza del Pudio nel Rienza, presso l’attuale Monguelfo - Welsberg.
Per E. Kühebacher con Pudio e Pydia si indicava, nel X-XI sec., il corso d’acqua, con Pudigin, Budigun la zona della foce. Queste due denominazioni sono dativi a. alto tedeschi, dal significato di ‘presso gli abitanti della zona della foce’. È proprio in quest’area che si originò, da Pudio, la forma tedesca in -ig; ne derivò l’attuale Pidig, attraverso le mutazioni successive u > ü (metafonia palatale) e ü > i (delabializzazione). V. Hintner pensava che il preromano Pudio significasse ‘rosso’, perchè il torrente assume una colorazione rossastra quando in piena.
Oltre che dal tema gall. bodio- < badio- ‘giallo, biondo’, Pudio (qui ci si aspetterebbe però una forma a. alto tedesca *Putio) potrebbe derivare da un *būdio- < *bōdio- < *boudio-, dal tema gall. boudi-, boudo- ‘vittoria, vantaggio, profitto’; cfr. i NNP Boudia, Boudio, Eni-boudius, Boudus, Budi-stius.
Karl Finsterwalder (1990, 1995): 40, 517, 968; E. Kühebacher (1995-2000), Band 2; J. Lacroix (2003): 198; X. Delamarre (2007): 6, 214; X. Delamarre (2008): 63, 83; X. Delamarre (2012): 81-2.

Prisca - Prisch
po.
Moso in Passìria - Moos in Passeier, BZ
Casolari della frazione Platt.
Localmente Prisch.
vf Prisch (1288), bona terre Brische (1311), auf der nideren Prisch (1470), Prisch (1562, 1694).
• Secondo K. Finsterwalder, da una sostantivo di origine celt. brisca indicante un terreno ‘fragile’, un’area soggetta a frane o smottamenti (anche per E. Kühebacher i masi si trovano in effetti in una zona a rischio frana), da un a. aggettivo celt. *briscu ‘brüchig’ = ‘fragile, friabile, sfaldabile, pieno di fessure’. Tali voci vengono supposte sulla base del br. bresk ‘id.’ [‘fragile’, da un celt. *bres-ko- secondo A. Deshayes] e dell’a. irl. brisc ‘id.’ [‘fragile, debole’].
Da Brisca si passò a Prische, per la mutazione sc > sch databile fra XI e XII sec.
J. Pokorny pone sotto la radice ie. *bhrēi-, *bhrī̆- ampliata in -s-, sia il br. bresk sia un gallo-romanzo *briscāre ‘coagulare’ [e ‘cagliare’; da *bris(i)care?] sia voci come il gallo-lat. brīsāre ‘frangere’ [‘pigiare’] e l’a. irl. brissid ‘(egli) rompe, distrugge’. Un gall. *briscare col significato di ‘fendere’ è stato ipotizzato alla base del toponimo francese Bresse, Briscia nell’VIII sec. (J. Lacroix).
Karl Finsterwalder (1990, 1995): 37, 1095-6; E. Kühebacher (1995-2000), Band 1; A. Deshayes (2003); J. Vendryes (1959-), s. v. brisc; J. Pokorny (2005); J. Lacroix (2003): 100.

Pusterìa, Val - Pustertal
co.
BZ
Localmente Púschtotål.
Pustrussa (973), Pagus, Comitatus vallis Pustrissa (995-1005), comitatus de Pustrissa (1002-1004), in comitatu Pustrissa (1002-1039), in valle Pustrissa (1030-1039), in pago Bvsterissa (1048), Pusteristal (1078-1091), Pustrissa (1100-1122, 1125-1140), Pusterstal (1117), Innichen in Pustriss (1160), Pustrisse (1235), Pustertal (1280, 1305, 1314), Pustriss (1363), vallis Pustrisse (1368), Pustria (1370), Pustertal (1372, 1382, 1431, 1452...), Pustrissa (1490), Bustertal, Pusterdal, Pusterthal, Pustertall (intorno al 1600).
•• Secondo G. B. Pellegrini, più che di origine slava – qualche studioso lo accosta a pustiti ‘abbandonare’ (> ungherese puszta), riconoscendone il valore di ‘luogo devastato’ – il toponimo dovrebbe esser di origine prelat.: cfr. l’ibero-romano bustia ‘pascolo’ e altri «esempi da busto ‘pascolo’, anche come appellativo, e da bosta ‘recinto’», riportati da J. Hubschmid.
Stando a K. Finsterwalder si tratterebbe di una formazione Bustur-issa ‘distretto di Busturus’, dal NP celt. Busturus (Busteros per E. Kühebacher) + il suff. -issa, presente nei poleon. Villonissa [attuale Villenauxe (Aube), all’origine del quale toponimo a parere di J. Lacroix vi sarebbe un teonimo *Vellaunissa, e secondo X. Delamarre una forma *uellaunetiā ‘possedimenti di Vellaunos’] e Vindonissa (attuale Windisch) col valore di ‘fondo di’ (quindi ‘fondo di Villo’ e ‘di Vindo’), suffisso che secondo J. Pokorny sarebbe d’origine preie. ma verrebbe utilizzato anche con nomi celtici. Busturissa si riferiva probabilmente al bacino di Brunico – un possibile pagus, cioè un ‘distretto’ –, che si ipotizza dunque governato da un capo di nome Busturus, forse principe dei Saevates [vd. Sebatum] (nel I sec. a.C., a parere di E. Kühebacher). Insostenibile una derivazione dal basco bustia ‘pascolo’ (anche per la lontananza delle terre basche) o dallo slavo pustu ‘deserto’ (poiché «non c’è una sola traccia di Slavi così a ovest»; vd. anche Dobbiaco).
X. Delamarre menziona in effetti i NNP Busturus, Busturo, Bussuro (da iscrizioni del Norico e della Pannonia), dal tema bussu-, buđđu-, bustu- ‘labbro’ (o ‘pene’?), e anche Pussocus e Pussosus, che però potrebbero derivare da una base pusso-. In A. Holder è riportato inoltre il personale Pustrus o Puster, presente in iscrizioni da Vienne (Francia).
J. Degavre ritiene celtico il suff. -issa, con valore ipocoristico; in effetti Vindonissa è attestato pure come antroponimo, ed era forse anche un teonimo, stando a un’ipotesi formulata da G. Taverdet. J. Lacroix attribuisce poi a -issa un valore sia ipocoristico, specie nei teonimi, che superlativo, specie nei toponimi; mentre per X. Delamarre in Vindonissā vi sarebbe un suff. superlativo, da cui il significato di ‘la molto bella (città)’. In realtà, -issa è usato in più toponimi celtici col valore di ‘luogo di (NP)’, come afferma H. D. Pohl; si veda, ad esempio, in Austria, l’attuale Katsch, Chatissa nel 982 < *Katissa ‘luogo di un Katos’ ["http://members.chello.at/heinz.pohl/Landschaften.htm"].
G. B. Pellegrini (1990a); Karl Finsterwalder (1990, 1995): 968, 973-4, 1019-20; E. Kühebacher (1995-2000), Band 2; A. Draxl (2002): 86; A. Holder (1961-1962); J. Degavre (1998); J. Lacroix (2007): 19, 39-41, 131-2; X. Delamarre (2007); X. Delamarre (2008): 94-5; X. Delamarre (2012): 262, 272.

Rienza - Rienz
io.
BZ
Nel Medioevo, fino al XII sec., nome del fiume della Pusteria superiore (presumibilmente, almeno da Brunico in su).
Rionzus (972), Rienza (1147), Ryenze (1277), Rienz (1296).
•• Di origine prelatina, forse celtica.
Rionzus fa pensare a un antico *Rigontios (dal celt. rīgo- ‘re’), oppure richiama Regontius, antroponimo attestato nel III-IV sec. in Pusteria secondo K. Finsterwalder. L’idronimo potrebbe derivare da un tema *Regontio- riconducibile alla radice ie. *regh- ‘bagnare, irrigare’, con suff. -ont-io-. Cfr. anche i toponimi *Regontia > Rionzy, presso Losanna, e *Reontium > Rioms (Gironde): Reontio villa (var. Reoncio, Recontio), menzionato da Gregorio di Tours, da un *Reg-ontio dipendente forse, secondo A. Falileyev, da una base celt. rego- ‘spazio, territorio’. Potrebbe però trattarsi di un idronimo appartenente all’“europeo antico” (così come l’Aesontius > Isonzo). Cfr. anche gli idronimi Trient, Trioncia, affluente sinistro del Rodano (Svizzera) e Trienz, Trienzbach, affluente destro dell’Elz (Neckar), ricondotti da X. Delamarre a una forma antica *Triontiā.
Il cambio di genere – dal maschile Rionzus al femminile Rienza, Rienze – può essere ascritto ai parlanti bavarese, come nel caso di Byrrus > Pyrrus > Pirra e Dravus > Drava. L’esito -ío- (-éo-) > -ie- (*Rionze > Rienze) è un’evoluzione medio alto tedesca, con conservazione del dittongo -ie- tipicamente locale (bavarese).
E. Kühebacher propone invece, inspiegabilmente, un originario RIGONTIU ‘materiale detritico’; si tratterebbe di una voce preceltica d’origine illirica, appartenente cioè alla lingua degli Illiri, che l’Autore ritiene «i rappresentanti della cultura di Hallstatt».
G. B. Pellegrini (1990a); A. Falileyev (2007), s. vv. Reontio, rego-; Karl Finsterwalder (1990, 1995): 400, 977-982, 985 sgg., 1030; E. Kühebacher (1995-2000), Band 1: 362-3, Band 2: 264-5; E. Kühebacher (2003): 6, 8; X. Delamarre (2008): 259-60; X. Delamarre (2012): 255.

Rienza - Rienz
po.
Dobbiaco - Toblach, BZ
Parte isolata dell’abitato di Dobbiaco.
auf der Rienczen (1414), auf der enrren Ryencz (1447), Rienzner (1583), Rienz (1885).
• → io. Rienza - Rienz.
E. Kühebacher (1995-2000), Band 1.

Rio di Tèsido - Taistner Bach
io.
Valle di Casies - Gsies e Monguelfo-Tesido - Welsberg-Taisten, BZ
Localmente Táaschtnapåch, Jaznpåch.
a riuo quae uocatur Tesido (769), rivolum sui vocabulum est Tesito (861).
• → Tèsido - Taisten.
http://books.google.it/books?hl=it&id=K5hDAAAAYAAJ&q=tesido#v=snippet&q=tesido&f=false”; E. Kühebacher (1995-2000), Band 2.

San Lorenzo di Sebato - Sankt Lorenzen
po.
BZ
• → Sebatum.

Sebatum
po.
S. Lorenzo di Sebato - Sankt Lorenzen, BZ
Da situarsi nei pressi di S. Lorenzo di Sebato.
In Norico civitas Saevatum et Laiancorum (Saebatum per G. B. Pellegrini; iscrizione da Zuglio); Sebato (Itinerarium Antonini, 280, 2).
• Toponimo preromano, che dovrebbe corrispondere alla civitas Saevatum di un’iscrizione, da Zuglio, del I sec. d.C., in cui *Saevates compare come etnico.
Per A. Falileyev Sebatum, «non necessariamente celtico», può esser accostato, ad ogni modo, al NP Sebođđu [(con đ per l’affricata /ts/) e anche a Sebosus].
C. Battisti vi vede una radice prelat. *seb-/*sab-, *sev-/*sav- (A. Costanzo Garancini). Per E. Kühebacher si tratta di un nome celto-romano.
G. B. Pellegrini (1990a): 581; A. Holder (1961-1962), s. v. Saevates; L. Bosio (1991): 173, 183; A. Falileyev (2007); X. Delamarre (2007); A. Costanzo Garancini (1975): 79; E. Kühebacher (1995-2000), Band 1: 394.

Tàlvera - Talfer
io.
BZ
Torrente che percorre la Val Sarentina.
Talferbach, Sarnerbach, Sarntalerbach (carte tedesche).
ultra fluvium Talaverna, iuxta rivum Dalfer (1077-1080), supra Talavernam (1230), Talwernae (1237), acqua Taluerna (aqua Talverna) (1279), fluxus aquarum Talinuerne et Ysarci (1282), Talauerna (1295), aqua Taluer (1296), super arena Talverne (1333), Tallver (1405), Talfer (1493).
•• Idronimo, secondo G. B. Pellegrini, «di origine prelat. da un tema *tala col valore di ‘ghiaia di fiume’ (?), da confrontare col lat. tellus, concetto espresso dal tedesco Gries (frazione di Bolzano)».
Per E. Kühebacher da un preromano *talava + il suff. -er(i)na col significato di ‘terreno sabbioso’.
Talaverna pare di aspetto celtico: potrebbe forse essere un composto tala-verna < tala-, variante in -a di talo-, talu- ‘fronte’ (e ‘parte anteriore’?) oppure celt. *tala- ‘terra’ / prelat. *tala, forse ‘ghiaia di fiume’ + celt. verna ‘ontano’; o anche un derivato di un celt. *talava, dall’ie. telh2-, *telu-, da cui l’a. irl. talam ‘terra’ (vd. Telve).
In provenzale il ‘margine del campo’ è detto tauvero, voce derivata, secondo J. Lacroix, da un gall. *talvara (‘spazio sul quale si gira l’aratro’), da talo-, talu- ‘fronte’.
X. Delamarre individua inoltre in alcuni antroponimi e toponimi d’origine celtica un tema talā- < *tlā-, dall’ie. *tlh2C- (radice ie. *telh2- ‘sostenere, sopportare’); cfr. il cimr. tlawd ‘povero’ e l’a. irl. tláith ‘debole’.
G. B. Pellegrini (1990a); E. Kühebacher (1995-2000), Band 2; X. Delamarre (2007); X. Delamarre (2008): 287-8, 314-5; P.-Y. Lambert (1994): 199; J. Lacroix (2005): 31-2; X. Delamarre (2012): 245.

Telve
po.
TN
de Telve (1183), Ottolinum de Telvo (1192), de Teluo (1196), de Telvo (1232).
•• Toponimo di origine preromana, per G. B. Pellegrini forse da una base *telava «di significato oscuro».
Secondo J. B. Trumper, M. T. Vigolo, deriverebbe da un celt. *talava < ie. *tʽHl- [?] + formante -awo-. Si tratta forse di un derivato della base ie. *telh2--, *telu-, dell’a. irl. talam ‘terra’.
X. Delamarre rileva in alcuni antroponimi e toponimi un tema celt. telo- ‘sorgente’ e ricostruisce una forma *talauā ‘possedimenti di Talavos (o Talus)’ per il toponimo francese Tauves (Puy-de-Dôme), attestato nel Medioevo come Talva.
C. Marcato (1990); J. B. Trumper, M. T. Vigolo (1998): 225; X. Delamarre (2008): 287-8; X. Delamarre (2012): 246, 250.

Telves - Telfes
po.
Racines - Ratschings, BZ
Localmente Tälfis.
Telues (827, 985-993, 1270-1280), Telves (1303, 1399, 1414), Telfser Berg (1459), Telfes (1817).
• Per G. B. Pellegrini va confrontato con Telve (Valsugana), forse da una base prelat. *telava, «di significato oscuro».
Si può confrontare anche con i toponimi tirolesi Telfes im Stubai (Austria) e Telfs (Oberinntal, Austria). Si tratta, scondo K. Finsterwalder, di nomi derivati da una voce ie. *tellevo ‘suolo coltivabile’, imparentata col lat. tellus, come indicato già da R. von Planta, o piuttosto da una radice ie. *tel(v)- ‘terreno, suolo’ e ‘humus’, per cui Telves sarebbe interpretabile come ‘(luogo dal) terreno fertile’.
E. Kühebacher propone l’etimo *tellevo + -es ‘prato, campo’. Le f, u, v scritte nelle attestazioni, e pronunciate f, suggeriscono che la tedeschizzazione sia avvenuta attorno all’XI sec.
Il toponimo è molto probabilmente d’origine ie. (forse celtica).
G. B. Pellegrini (1991): pp. 66-7; Karl Finsterwalder (1990, 1995): 39, 1030, 1046; E. Kühebacher (1995-2000), Band 1.

Tenna
po.
TN
Tenna (1166), in villa Tenne [...] contra Tennam (1258).
•• Di «origine prelatina»; vd. Tenno.
Per una eventuale origine celt., cfr. il «toponimo personale» *tenācon ‘proprietà di Tenos’ (attuale Thenay, Loir-et-Cher) e NNP quali Seni-tennis, Tenatius, Allo-tenus, Seno-taenus (e forse Tinus, Tinius, con esito ē > ī), da teno-, taeno- (= tēno-) ‘calore, fervore’ < celt. *tēno- < *tepsno- ? (< ie. *tep- ‘calore’). Da non ecludersi un tema celt. *tindo- > *tinno- ‘?’, riconoscibile nei NNP Tinda, Tindilici, e forse nel toponimo Tenay (Vienne, Tinnaium nel 1130).
C. Marcato (1990); X. Delamarre (2007); X. Delamarre (2008): 293-4; X. Delamarre (2012): 251-2.

Tenno
po.
TN
de Tenno (1205), castri de Ten (1211).
• Toponimo «di origine prelatina», confrontabile con Tenna e l’idron. Tinnebach (C. Battisti - E. Ventura).
C. Marcato (1990).

Tèsido - Taisten
po.
Monguelfo-Tesido - Welsberg-Taisten, BZ
Localmente Taaschtn.
Tesido (769), rivus Tesido (780), Tesito (861), Tesitin (994, 1050-1065), Teistin (1070-1080), Teiste (1149), Teisten (1160), Tayst (1269), Taiste (1284), Taysten (1288, 1328), Taisten (1322, 1330, 1400, 1496), Desten, Taysten, Tasten (1323), Tasten (1324), Tasch, Daisten, Taisten (1600).
•• G. B. Pellegrini lo accosta al toponimo Tésero, TN (Val di Fiemme) [localmente Tiéser, dial. tieʃdo, de Tesedo nel 1110], nell’ambito di «equazioni toponimiche» riscontrabili in più casi tra nomi di luogo d’origine preromana delle province di Bolzano e di Trento.
K. Finsterwalder invece lo mette in relazione col celtico Decetos, NP documentato. In Tesitin si può riconoscere la «desinenza della flessione tedesca».
E. Kühebacher fornisce ulteriori spiegazioni: il toponimo significava ‘podere di un Decetos’; si arrivò dapprima alla forma Tesito attraverso l’accentazione della prima sillaba e la rotazione consonantica a. alto tedesca (l’esito t > d è attestato dal documento del 769 stilato da Anno, estensore di lingua romanza), poi a Taistin, Teistin, Teisten per «contrazione» (e qui -ai-, -ei- vennero a coincidere con l’ai, ei a. bavarese); successivamente, nella lingua parlata, si passò alla pronuncia oa e nel XIII sec. aa (cfr. Tasten, nel 1323).
Forse -do, da una terminazione -to continuazione del -tu(m) di un gallo-lat. *Decĕtum – un nome quindi già accentato sulla prima sillaba –, risale a una fase romanza precedente l’VIII-IX sec. (epoca della IIª rotazione consonantica).
È probabile poi che Tesido, Tesito (769, 780, 861) fosse il nome del torrente – presumibilmente l’attuale Taistner Bach (→ Rio di Tèsido - Taistner Bach) o forse il Pudio-Pidig stesso al quale il primo affluisce (nell’VIII sec. si confondeva il Tesido col Pudio?) – e Tesitin (994) quello dell’abitato, come nel caso di Pudio-Pudigin (vd. Pidig - Púdio).
Nulla vien detto però, né da Finsterwalder né da Kühebacher, sull’evoluzione -ce- > -si-, che non risulta spiegabile in base alle leggi della IIª rotazione consonantica, per cui si può dubitare che Tesido dipenda da un Decetos.
Tale nome, inoltre, non pare sia documentato, ma lo sono i NNP Decetius e Macu-decetus [l’attestato Dectus sarebbe un *Dec(e)tus?] e il poleon. a. Decetia (Cesare, De bello Gallico, VII, 33, 2) — un «toponimo personale» decetiā ‘possedimenti di Decetos’ —, attuale Decize (Nièvre), tutti da una radice ie. dek̂- ‘che conviene, adatto’ (cfr. l’a. irl. dech ‘migliore’).
C. Marcato (1990), s. v. Tèsero; G. B. Pellegrini (1991): pp. 66-7; Karl Finsterwalder (1990, 1995): 38, 968-9; E. Kühebacher (1995-2000), Band 1; A. Holder (1961-1962); A. Falileyev (2007), s. vv. Decetia, deco-; X. Delamarre (2007); X. Delamarre (2008): 137; X. Delamarre (2012): 134.

Tinnebach
io.
BZ
Italiano Tina.
fluvius Tinna (1027), fluvius Tynne (1277), iuxta aquam Tynnam (1296), an der Tynnen (1483), Thynnenpach (1551).
•• Di etimologia non chiara, probabilmente da un preromano *Tina, *Tena, o anche da un tema celt. *tindo- > *tinno- ‘?’; vd. i toponimi trentini Tenna, Tenno.
E. Kühebacher (1995-2000), Band 2.


Vàdena - Pfatten
po.
BZ
Localmente Pfåtn, Vàdena. Dial. nònese vàdna, vàuna.
Uatina, Uatena (855-864), Vatina (860), Vatena (1181), in Vatena (1211), Pfatten, Phatena (1236), Fatena, Pfatena (1242), Vatena (1270), Phattena (1307).
•• Secondo C. Schneller, potrebbe risalire al lat. patina ‘piatto’ o vadum ‘guado’. Ma per G. B. Pellegrini si tratta di un toponimo d’origine preromana, con «terminazione atona -ĭna caratteristica del prelatino». Nelle forme tedesche si notano l’esito v- > f- e «t reso con la forte».
E. Kühebacher invece ritiene derivi dal lat. vadum, «presente nel medio alto tedesco come vade, vate ‘recinzione’»; l’esito -d- > -tt-, nelle forme tedesche, è dovuto alla IIª rotazione consonantica [quindi Vatina (860) sarebbe già una forma bavarese], mentre pf- sarebbe la traccia di una preposizione bei ‘presso’. Il significato complessivo sarebbe dunque ‘presso il guado (sull’Adige)’ – il paese si trova infatti nei pressi del fiume.
Da prendere in considerazione, per un’eventuale origine celt., il NP Uadinus, dal celt. *Vo-dīnu- (uo- ‘sotto, sub-’ + dīnu-, dīno-, cfr. l’a. irl. dín ‘protezione, riparo’) o dal lat. vadum?; e i NNP Vatus, Vatius, Vatinius, Vato, Vattus, da uātu-, uāti- ‘profezia’ — Vatina potrebbe essere quindi un *uātinā ‘possedimenti di Vātinos’.
In Vatina > Vatena, Phatena non compare l’esito -t- > -zz- (VI sec.) della IIª rotazione consonantica, quindi il toponimo sarebbe passato al bavarese in epoca successiva, nella grafia [vatina], e con pronuncia fàtina.
G. B. Pellegrini (1990a); E. Kühebacher (1995-2000), Band 1; X. Delamarre (2007); X. Delamarre (2008): 323-4, 307.

Valdàora - Olang
po.
BZ
Localmente Óaling (con O- aperta). Ladino Valdàura.
Ollingas («incerto»; 832), Olaga (dal 965), Olanga (985, 993), in loco Olagun (1060-1070), ad medias Olagun (1060, 1085), Olagun (1140), de Olagen, de Olagn (1178-1189), Olagen (1275-1280, 1388), Olang (1334, 1433, 1544), Valdàora/Olang (1923).
•• Secondo C. Schneller, dal lat. aulatica < aula ‘curia Baronis’ o, stando a K. Finsterwalder, aulatica ‘corte regia’ (interpretazione che risulta non chiara). Per G. B. Pellegrini è toponimo di origine preromana; la forma Valdàora è «una neocreazione in parte arbitraria (?)».
Secondo K. Finsterwalder e E. Kühebacher, va ricondotto a un *Aulaca, *Aulaga ‘podere di Aulos’ (un prediale in -āca; ma K. Finsterwalder pensa piuttosto ad un Auláca forma plurale di Aulácu < Aulācum), da cui l’Olaga del 965. E. Kühebacher ritiene il personale a. Aulos un nome celtico «ben attestato».
La forma Olang sarebbe dovuta all’incrocio di Olaga con il nome degli abitanti, gli Olinger (dial. Oalinga). Il dial. Oa- corrisponde alla ô dell’a. e medio alto tedesco, esito di un precedente au. In ladino si formò il toponimo Valdàura significante ‘Valle di Aulos’, con il normale mutamento l > r (E. Kühebacher).
La tedeschizzazione del toponimo dovrebbe risalire già all’VIII sec. Óaling risalirebbe a Oaligen, con esito -gen > -ng (K. Finsterwalder).
X. Delamarre (e nemmeno A. Holder) non riporta però alcun NP *Aulos o *Aulus, bensì forme affini quali Aullus, Aullius, Aulio, Aulo-genes (da un tema aulo-aullo-). *Aulāca potrebbe derivare anche dal romano Aulus, prenone e cognome (di origine etrusca?).
G. B. Pellegrini (1990a); Karl Finsterwalder (1990, 1995): 966-7, 972, 980, 996, 1015, 1022; E. Kühebacher (1995-2000), Band 1; M.-T. Morlet (1985), s. v. Aulius; A. Holder (1961-1962); X. Delamarre (2007); X. Delamarre (2012).

Vandòies - Vintl
po.
BZ
In ladino Vendojes.
in valle Uintulla (994-1005), de Vintile (1151), apud Uintulle (1157), Uintulle (1155-1164), Uintelen (1164-1178), apud Vintillen (1167), apud Vintil (1178-1189), in der Vintl (1229), curtem apud Vintelen (1231), curia in Vintulen (1246-1268), ze Vintulle (1288), Fendoys (1334).
•• Per C. Schneller e I. Mader, sarebbe riconducibile a un vinetullem, diminutivo di vinētum ‘vigna’, «etimo da escludere» per G. B. Pellegrini.
Secondo quest’ultimo infatti, deriverebbe piuttosto dal lat. *ventŭla ‘ventilabro’ (da cfr. con il friulano vintule = panarie ‘madia’, e vintuluisa ‘vaglio capisteo’), «passato all’antico alto tedesco come Winta ‘pala di grano’», e usato in un’accezione geografica similmente al lat. vannus ‘conca’; non si può escludere poi che la forma Vandòies, «tratta dalla denominazione badiotta», possa discendere da un *vannitōria [< *vannitare, da vannus; cfr. il friulano vanedoria ‘capisteo’ (1426, 1431)].
Per altri si tratta invece di un toponimo preromano (C. Battisti), o di origine celt.: un gall. *vindo-ialon ‘campo di Vindos’ (o ‘campo bianco’), o piuttosto ‘il bel villaggio’ o ‘il villaggio di Vindos’, da cui *Vindóialo, *Vindolio, con l’esito d > t della IIª rotazione consonantica risalente a prima del 900 (K. Finsterwalder, E. Kühebacher, P. Anreiter - U. Roider). Vd. Vendoglio.
G. B. Pellegrini (1990a); Karl Finsterwalder (1990, 1995): 40, 69, 968, 1015; E. Kühebacher (1995-2000), Band 1; P. Anreiter, U. Roider (2007): 120; X. Delamarre (2008): 319-20; X. Delamarre (2012): 271.

Vendoglio
po.
Treppo Grande, UD
Pronuncia locale: vendòi.
de Vendoio (1146), de Vendoy (1201).
•• D. Olivieri pensava a una derivazione dal basso latino venda ‘vendita o taglio di bosco ceduo’.
Vendoglio risale piuttosto a un composto gallo-lat. Uindo-ialum (*vindòialum) ‘il bel villaggio’ o ‘il villaggio di Vindos’, dalle voci gall. vindo- ‘bianco’, ‘felice’ e *-ialon ‘luogo dissodato, radura’ > (nel gallico tardo) ‘località, villaggio’. Tale etimo l’accomuna ai toponimi francesi Vendeuil (Dordogna, Aisne, Oise) e Vandeuil (Marne); cfr. anche il cimr. ial ‘radura, spazio scoperto’.
G. Frau (1978); G. B. Pellegrini (1983): 59; G. B. Pellegrini (1987): 122; G. B. Pellegrini (1990b): 130; A. L. Prosdocimi (1988): 405; J. Lacroix (2007): 40; X. Delamarre (2008): 319-20, 185; X. Delamarre (2012): 271.

Venosta, Val - Vintschgau
co.
BZ
Vnùest nei Grigioni. Nònese fìnsega (dal meranese).
Venusticae vallis (Arbeone, Vita s. Corbiniani 15, 240; VIII sec.), de Venostes (717; ‘dalla terra dei Venosti’), in Venustis (830 o 831), in Venusta Valle (890), in pago Uenusta (931), Vallis Venusta (930-931 e 967), comitatus Venostensis [o Uenustensis] (1027), Valli Venuste (1186); dalla metà dell’XI sec. è attestata, in documenti delle cancellerie tedesche, «la forma intedescata Vintsch(gau)»: in pago Finsgowe (1077), in pago Vinsgowe (1101), Vinsgowe (1109), Vinshoe (1300 c.a), Vintschgau (1308), im Vinstgau (1313, 1339, 1357, 1383), Vinschew (1327-1336), Vintschgau (cancelleria austriaca; 1374).
• Il toponimo si riconduce all’etn. Venostes (Plinio, N. H., III, 136), nome del popolo che abitava la valle nell’antichità. Secondo G. B. Pellegrini, «non è sicuro se i Venostes corrispondano ai Vennonetes (Plinio III, 137); in ogni caso essi risultano affini nella lingua (più incerta è la connessione con Veneti)». Risulterebbero poi «affini per il tema ai Vennonetes [...] o ai Vennonenses [Plinio, N. H., III, 135] o Vennones [Strabone, IV, 6, 6: Οὐέννωνες]» [G. B. Pellegrini (1985): 100]. J. Pokorny tende comunque ad associare Venostes (collocato tra le voci venetiche o venetico-illiriche) e Veneti, s. v. *u̯en- (e *u̯enos-) ‘tendere verso, desiderare’.
Per K. Finsterwalder e E. Kühebacher, Venostes deriverebbe dalla radice ie. *wen- ‘amico, imparentato’ (H. Krahe). L’evoluzione tedesca di Ven- in Vin-, che C. Battisti riteneva una «tendenza tardo bavarese», dovrebbe invece essere avvenuta secoli prima del 1000 (K. Finsterwalder), nel primo medioevo, con la ritrazione dell’accento, la chiusura dell’e in i davanti all’u della sillaba seguente: Venusta > Vinst- > Vintsch- + -gau [‘contrada, distretto, territorio] < medio alto tedesco gou (E. Kühebacher). Secondo K. Finsterwalder la forma Vintschgau venne ricostruita sulla base di Vinshoe.
X. Delamarre pone tra i nomi di origine celt. anche gli etn. Vennonetes, Venostes [elencati nel Trofeo delle Alpi o di Augusto (Tropaea Augusti), a La Turbie (Alpes Maritimae)] e il NP Vennonia. Per A. Falileyev i Vennonetes sono da identificarsi con i Vennones e i Vennonenses (Plinio, N. H., III, 135), tutti derivati da un celt. ueno- di incerto significato (‘parentela’, ‘desiderare’, ‘vincere’?), se non di origine retica.
G. B. Pellegrini (1990a); G. B. Pellegrini (1990b): 417; J. Pokorny (2005): 1146; Karl Finsterwalder (1990, 1995): 1044; E. Kühebacher (1995-2000), Band 2; X. Delamarre (2007); A. Falileyev (2007), s. v. Vennon(et)es.

Vipiteno - Sterzing
po.
BZ
Vipiteno (Itinerarium Antonini, 275, 4 e 280, 3), Vepiteno (Tabula Peutingeriana, IV, 2-3); Uuipitina (827), vallis Vipitina (980), Wibitina (985), Wibitin (1050-1065), in Bibidina valle (tra 1085 e 1122), Wibital, Wipetwald (1170), Wiptal (1200), Viptal (1288).
•• Secondo G. B. Pellegrini, è forse in relazione con l’antroponimo etrusco Vipiθenes (in «iscrizione sepolcrale da Orte»), nel qual caso si potrebbe attribuire ad uno «strato retico-etrusco». Viptal (attuale Wipptal) sarebbe una forma paretimologica da Wipitan, Wiptan.
Secondo K. Finsterwalder, il lat. (classico) Vipitenum era pronunciato nel latino volgare locale *Vibidēnu, *Vibidēno, con lenizione di p e t. Da questa forma (continuata fino all’XI sec.), attraverso la mutazione consonantica delle medie in tenui derivò il bavarese Wipitina (Uuipitina nell’827), che va confrontato con la forma romanza Bibidina valle (1085-1122) attestata accanto a valle Wibitina: Plazzes in Bibidina valle [«in den Brix. Trad. (Nr. 398, 409, 414, 421b)»]. In Bibidina la terminazione -īna è propriamente romanza e la B- potrebbe essere una variante grafica per V- (romanza), oppure esser stata usata per rendere una W- (b per w è una particolarità bavarese d’epoca medio alto tedesca); in questo secondo caso, la W- al posto di V- dipenderebbe da influsso tedesco.
Wipptal non viene da una forma *Wiptan < *Wiptēn, bensì si deve a un’evoluzione Vibidenu > Wipitin > Wipitî > Wipiti + -tal > Wipitital > Wibtital, Wibettal > Wipttal > Wipptal; cfr. il NP Martinu > a. alto tedesco Martî.
Per E. Kühebacher da un celto-romano *Vibidína, attraverso Wipitin, Wipet, si arrivò all’elemento Wipp- di Wipptal. La tedeschizzazione (accento sulla prima sillaba, IIª rotazione consonantica) risulta già realizzata nell’VIII sec.
*Vepitenum, *Vipitenum pare in effetti corrispondere a un originario NP d’origine celt. *Vepi-tenus, *Vipi-tenus, *Vipi-tinus (gall. *Vepo-tenos; cfr. i personali Seni-tennis e Seno-taenus, Sene-maglus e Seno-maglus), composto di uepo-, uipo- ‘voce, parola’ e teno-, taeno- (= tēno-) ‘calore, fervore’ [dal celt. *teno(s)- < *tepno(s)- < ie. *tep- ‘calore’], anche con esito ē > ī come nei NNP Tinus, Tinius, ammesso che questi non derivino da un tema tinu- confrontabile col lat. tĕnuis ‘tenue’ (con vocale radicale breve).
X. Delamarre propone una forma originaria uepitenon ‘proprietà di Vepitenos’, da una base *vep- [che dovrebbe essere la stessa del gall. uepo- sopraindicato] da cui dipenderebbero il tema gall. Vepitto- e NNP quali Vepitta, Vepintania, Vepus, Veporix.
G. B. Pellegrini (1990a); G. B. Pellegrini (1985): 118; G. B. Pellegrini (1990b): 133-4; A. Holder (1961-1962), s. v. Vipitenum; Karl Finsterwalder (1990, 1995): 79-80, 333, 402, 662, 669; E. Kühebacher (1995-2000), Band 1 e Band 2; X. Delamarre (2007); X. Delamarre (2008): 312-3, 293-4; X. Delamarre (2012): 264.

Wipptal
io.
BZ
Alta Valle dell’Isarco.
Italiano: Valle Vipitèna.
• → Vipiteno - Sterzing.