Gallico *iuos "Taxus baccata"


«Il tasso (ivin in bretone) è l'albero dell'immortalità perché sempreverde e di una longevità straordinaria. I cimiteri bretoni senza tassi non sono veri cimiteri. Ha anche la fama di essere il più antico degli alberi. La mazza del dio druido Daghda era di tasso così come la sua ruota. Si scrivevano incantesimi in ogham su legno di tasso. Quest'albero ha anche un simbolismo militare: si facevano scudi e aste di lancia con il suo legno.»

Tratto da: Divi Kervella, Emblèmes et symboles des Bretons et des Celtes, Coop Breizh, Spézet 1998, p. 17.



Il “tasso sanguinante” di Nevern 

<br><br>Il “tasso sanguinante” di Nevern <br><br>


Il “tasso sanguinante” (stillante linfa rossa) del cimitero della chiesa di Saint Brynach a Nevern, Pembrokeshire (Galles).







venerdì 10 dicembre 2010

Le kannerezed-noz. 1ª parte



Le lavandaie della notte bretoni

Fra i tipi di esseri fantastici presenti in diverse aree folcloriche europee uno dei più diffusi è quello delle «lavandaie», specie «notturne», sul quale in ambito bretone si incontrano alcune delle leggende di maggior interesse.
Tra queste vi è Les Lavandières de nuit, il cui testo originale si trova ne Le Foyer Breton, di Émile Souvestre, Paris 1844 (pp. 69-75), e che compare, in traduzione italiana — Le Lavandaie della notte —, nella raccolta Leggende della Bretagna misteriosa [1].
Souvestre (1806-1854) aveva raccolto Les Lavandières de nuit nel 1831 a Guissény, nel Léon (regione del Nord-Ovest della Bretagna, dipartimento del Finistère). Da notare che il racconto, oltre alla “traduzione” in francese (per la quale probabilmente Souvestre si era fatto aiutare) — e relativa perdita dell’originale leonese — ha subito l’integrazione di «alcune considerazioni o aggiustamenti personali» da parte dello stesso Souvestre [2].

Tale storia — assieme ad altre due testimonianze sulle lavandières de nuit bretoni — è riprodotto da Françoise Le Roux e Christian-J. Guyonvarc'h ne La Souveraneité guerrière de l’Irlande (1983) [3], lavoro in cui i due autori sostengono che la leggenda bretone sia la «sopravvivenza» [4] di un racconto mitico celtico relativo alla dea della guerra, in Irlanda la Mórrígan o Bodb che — come una giovane «lavandaia al guado» — lava le spoglie dell’eroe Cúchulainn prima che questi affronti la sua ultima battaglia [5].
Le altre due testimonianze riportate da F. Le Roux e Ch.-J. Guyonvarc'h contengono:
• «la definizione definitiva di questi personaggi femminili» data da René-François Le Men in Traditions et Superstitions de la Basse-Bretagne (in «Revue Celtique», I, 1870-1872, p. 421) e una nota relativa aggiunta al testo [6];
• un racconto — Celle qui lavait la nuit («Quella che lavava di notte») — raccolto da Anatole Le Braz a Plougastel-Daoulas (Finistère) nell’ottobre del 1890 e pubblicato due anni dopo ne La légende de la mort chez les Bretons armoricains (edizione del 1945, tomo II, pp. 259-63) [7].
Anche di questo secondo racconto non ci è stato trasmesso l’originale bretone. Tutti e due comunque, al di là delle alterazioni, conservano «il fondo intatto» della narrazione [8].

Sulle credenze bretoni riguardanti le lavandaie della notte, sei leggende e altre testimonianze sono state più di recente riportate e commentate (e corredate di preziose informazioni su opere ed autori) nel catalogo redatto da Jean Berthou in occasione della mostra intitolata appunto Les Lavandières de la Nuit, tenutasi nel 1992-1993 al Musée Yan’ Dargent di Saint-Servais (Finistère). In tale pubblicazione sono contenuti, nell’ordine:
• alcuni cenni alla «prima traccia scritta della leggenda», apparsa nel 1799 ne Le Voyage dans le Finistère di Jacques Cambry (1749-1807), e alla «correzione» apportata da Souvestre, quando questi nel 1835 curò la riedizione dell’opera di Cambry [9];
• la rielaborazione dei punti salienti del «sec canevas» dato della leggenda da R.-F. Le Men (sintesi folclorica di cui, rileva Berthou, non è possibile datare la redazione) [10];
• alcune tracce attuali della leggenda raccolte a Plourin e Commana, località del Léon [11];
Les Lavandières de nuit, raccolta da Souvestre [12];
La Lavandière de Nuit, narrata in bretone da François Thépaut il 19 febbraio 1890, a Plouaret (Côtes-du-Nord, dal 1990 Côtes-d’Armor), tradotta e pubblicata in francese nel 1894 dal folclorista François-Marie Luzel (1821-1895), la cui opera di raccoglitore — stando a J. Berthou — era caratterizzata da «la più scrupolosa attenzione» [13];
Celle qui lavait la nuit, raccolta da Anatole Le Braz [14];
Les Lavandières de nuit, testo presente alle pp. 23-7 di Contes et Légendes de la Bretagne, di Elvire de Cerny (1818-1899), Paris, 1899 [15];
Les Lavandières de Nuit, da Nouveaux Contes et Légendes de Bretagne, di François Cadic (1864-1929), Paris 1922, pp. 162-3 (tradizione popolare del Morbihan) [16];
• un breve passo appartenente a Coutumes, Mythes et Traditions des provinces françaises di Alfred de Nore, Paris, 1846 (a p. 211) [17];
Les Lavandières de Nuit e La Lavandière des Noes Gourdais, brevi racconti raccolti in Alta Bretagna da Paul Sébillot (1843-1918) e pubblicati rispettivamente in Traditions et Superstitions en Haute-Bretagne, Paris, 1882, pp. 248 e sgg., e Contes Populaires en Haute-Bretagne, Paris, 1880, pp. 202-3 [18];
• un testo bretone di Erwan Berthou (1861-1933), tradotto in francese dallo stesso e pubblicato in Le Clocher Breton, febbraio-marzo 1910, pp. 1872 e 1890 (tradizione popolare del Trégor) [19];
• due brevissimi testi orali bretoni del Trégor, tratti dalla parte terza del Trésor du Breton parlé di Jules Gros (1890-1992) [20].


 
Per completare una rassegna o, per dir così, un dossier sulle lavandaie notturne bretoni, sono poi utili (se non necessarie) le notizie contenute in alcune altre pubblicazioni, in special modo nei lavori Le folk-lore de France (1904-1907) di Paul Sébillot e La Bretagne et ses traditions (1968) del figlio Paul-Yves (1885-1971).
Ma soffermiamoci ora sulle principali testimonianze bretoni, riprodotte nelle pubblicazioni di Le Roux - Guyonvarc'h e Berthou e presenti originariamente nei lavori di Cambry, Le Men, Souvestre, Luzel, Le Braz e Cadic, testimonianze nelle quali si possono riconoscere i tratti essenziali e più diffusi, e talvolta anche aspetti, elementi particolari o secondari, di quegli esseri soprannaturali che sono le «lavandaie della notte» [→ 2ª parte].


[1] Gw. Le Scouëzec (1986): 33-8 e 269-71 (note).
Le Foyer Breton è stato ristampato nel 1990 da Terre de Brume Éditions (con Préface di Dominique Besançon). Les Lavandières de nuit è alle pp. 102-9.

[2] F. Le Roux, Ch.-J. Guyonvarc'h (1983): 80; J. Berthou (1993): 9, 16.

[3] F. Le Roux, Ch.-J. Guyonvarc'h (1983): 80-4.

[4] F. Le Roux, Ch.-J. Guyonvarc'h (1983): 87.

[5] F. Le Roux, Ch.-J. Guyonvarc'h (1983): 7-8, 37-9, 105. Cfr. anche: F. Le Roux, Ch.-J. Guyonvarc'h (1990): 35, 136-9; M. J. Green (1992), s. v. Badbh; J. MacKillop (1998), s. v. washer at the ford; D. Kervella, E. Seure-Le Bihan (2001): s. v. Badhbh; J. T. Koch (2006): s. vv. bean sí, Bodb; Claude Sterckx (2009): 338-9.
Ecco il passo della «lavandaia al guado» tradotto dalla versione francese di Ch.-J. Guyonvarc'h [(1983): 37-8]:
«Non erano andati lontano dalla fortezza quando [Cúchulainn e le figlie di re e i principi che lo seguivano] incontrarono una bella fanciulla dal corpo bianco, bionda, davanti il Guado della Veglia, nella prateria d’Emain. Ella era triste e afflitta e torceva spoglie purpuree, fatte a pezzi, insanguinate, e le sciacquava sulla riva del guado.
«Vedi laggiù, o Cane», disse Cathfad, «la figlia della Bodhbh che sta lavando le tue spoglie e il tuo equipaggiamento? [...]».

[6] F. Le Roux, Ch.-J. Guyonvarc'h (1983): 79-80.

[7] F. Le Roux, Ch.-J. Guyonvarc'h (1983): 84-6; J. Berthou (1993): 49-51. In A. Le Braz (1990) Celle qui lavait la nuit si trova alle pp. 234-9 del II tomo.

[8] F. Le Roux, Ch.-J. Guyonvarc'h (1983): 87.
Nella Préface a La légende de la mort Georges Dottin ricorda come Le Braz conducesse le sue inchieste con cura e preoccupandosi della verità, ma non sempre scegliendo gli informatori più sicuri. Nell’Avertissement lo stesso Le Braz dichiara di aver cercato scrupolosamente di effettuare una traduzione fedele non solo alla lettera ma anche allo spirito, così da conservare almeno un po’ dell’«aspro sapore» dei racconti. Nell’Introduction à la Première Edition, Léon Marillier ci fa sapere che Le Braz trascriveva le leggende raccontate in bretone, direttamente in questa lingua; in seguito le traduceva in francese rispettandone sempre la forma e apportando ai testi solo qualche lieve modifica; pertanto le sue traduzioni risultavano «quasi letterali». [A. Le Braz (1990): Préface, pp. 7-8; Avertissement, pp. VI, LXVII; Appendice, p. 399.]

[9] J. Berthou (1993): 9, 15, 45; J. Cambry (1993): 40.

[10] J. Berthou (1993): 10-11.

[11] J. Berthou (1993): 13.

[12] J. Berthou (1993): 16-9.

[13] J. Berthou (1993): 46-8.
Il racconto è riportato alle pp. 167-70 di F.-M.Luzel (1995), con il titolo La lavandière de nuit e il sottotitolo La fileuse.

[14] J. Berthou (1993): 49-51.

[15] J. Berthou (1993): 54-5.

[16] J. Berthou (1993): 56-8.

[17] J. Berthou (1993): 73.

[18] J. Berthou (1993): 74.

[19] J. Berthou (1993): 75.

[20] J. Berthou (1993): 76.

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