Gallico *iuos "Taxus baccata"


«Il tasso (ivin in bretone) è l'albero dell'immortalità perché sempreverde e di una longevità straordinaria. I cimiteri bretoni senza tassi non sono veri cimiteri. Ha anche la fama di essere il più antico degli alberi. La mazza del dio druido Daghda era di tasso così come la sua ruota. Si scrivevano incantesimi in ogham su legno di tasso. Quest'albero ha anche un simbolismo militare: si facevano scudi e aste di lancia con il suo legno.»

Tratto da: Divi Kervella, Emblèmes et symboles des Bretons et des Celtes, Coop Breizh, Spézet 1998, p. 17.



Il “tasso sanguinante” di Nevern 

<br><br>Il “tasso sanguinante” di Nevern <br><br>


Il “tasso sanguinante” (stillante linfa rossa) del cimitero della chiesa di Saint Brynach a Nevern, Pembrokeshire (Galles).







sabato 11 dicembre 2010

Le kannerezed-noz. 2ª parte



Cambry, Le Men

Ne Les Lavandières de nuit (Souvestre e Le Scouëzec [1929-2008]) il nome bretone delle «lavandaie della notte» è, al singolare, kannérez-noz [1], vale a dire ‘blanchisseuse de nuit’ (‘lavandaia di notte’). È il composto attestato già nel 1779, ne Le Voyage dans le Finistère di Jacques Cambry [2].
Negli altri due documenti folclorici presi in considerazione da Le Roux - Guyonvarc'h le «lavandaie della notte» sono chiamate:
couerezou, cowerezou ‘lavandaia’ (Le Men);
maouès-noz (maouez-noz) ‘donna di notte’ (Le Braz).
Kannerez (pl. kannerezed) deriva da kann [kɑ͂n] ‘bianco’ (a. br. cann ‘brillante, bianco’ < celt. *kando-) + -er- (suff. d’agente) + -es (suff. del femminile); le forme kouez(i)er, femm. kouez(i)erez (e kouerez), koveour, kovezer, kovezour dipendono da kouez, kovez ‘liscivia, bucato’ (< a. fr. cowet ‘tinozza’); maouez ‘donna, sposa’ e ‘fata’ (medio br. maoues, moues ‘giovane donna’), va confrontato con il corn. mowes ‘serva’ (*magu̯issā), maw ‘servitore’, il br. maw, mao ‘vigoroso’ (< ‘jeune garçon’; a. br. mauu ‘giovanile, gaio’; ‘giovane uomo, servitore’) e il gall. magus ‘bambino, servente, garzone’ [3].

Jacques Cambry accenna brevemente alle kannerezed-noz, al loro comportamento, in una delle pagine dedicate al distretto di Morlaix, nella quale si legge, nell’edizione del 1835 curata da Souvestre (a p. 20) [4]:
«Les laveuses, ar Cannerez-noz (les chanteuses des nuit), qui vous invitent à tordre leurs linges, qui vous cassent les bras si vous les aidez de mauvaise grâce, qui vous noyent si vous les refusez, vous portent à la charité, etc. etc.»;
e nell’edizione del 1836, curata da M. le Chevalier de Fréminville [5]:
«Les laveuses ar cannerez nos, (les chanteuses des nuits) qui vous invitent à tordre leurs linges, qui vous cassent le bras si vous les aidez de mauvaise grâce, qui vous noyent si vous les refusez, vous portent à la charité ; etc. etc.» [6].

Alla forma cannerez, femminile (usato anche come plurale) di canner, attestato già nel medio bretone del Catholicon (1499) [7], Cambry ha attribuito il significato di ‘chanteuse’, confondendola forse con la voce canerez, femminile di caner, br. attuale kaner ‘chanteur’. Caner, con una sola n appunto, è già documentato nel medio bretone (1632) e continua l’a. e medio br. can ‘canto’ (nel Catholicon), br. attuale kan [kɑ̃ːn] — con vocale radicale lunga —, voci risalenti a un tema celt. *cano- [8].
Va osservato che Souvestre non pare essersi accorto di questo eventuale scambio di parole, poiché nulla dice in proposito in nota. E Paul Sébillot poi, come si vedrà [→ 5ª parte], traduce sempre kannerez-noz con «chanteuses de nuit».
Fermo restando che un’oscillazione -n-/-nn- è sempre possibile nella grafia dei secoli scorsi, qui però una n geminata (-nn- esito di -nd- di *kand-) denota un diverso valore semantico, cosa di cui, sulla base delle attestazioni in antico e medio bretone, pare che i Bretoni fossero consapevoli anche in passato. Inoltre nella descrizione delle kannerezed-noz inserita da Cambry nel suo Voyage, non vi è nulla che faccia pensare a delle «cantanti» o «canterine notturne», forse anche (non solo) perché l’autore ha voluto limitarla a quattro elementi, per non dilungarsi troppo su quel particolare «rêve de l’imagination» bretone — il capoverso vien chiuso infatti con un «etc. etc.».

Per Le Men, si tratta di «lavandaie che, durante la loro vita, hanno, per negligenza o avarizia, rovinato la biancheria o gli abiti di poveri che avevano appena di che vestirsi, sfregando quegli indumenti con delle pietre per risparmiare il sapone. Per punizione di questa colpa, Dio le rinvia dopo la morte sulla terra, dove impone loro per penitenza di lavare continuamente della biancheria durante le ore dispari della notte, nei fiumi e nei lavatoi nei quali lavoravano abitualmente in vita, e di trasportarvi nel loro grembiule delle pietre prese nei luoghi in cui le prendevano un tempo. Per vendicarsi di questo lavoro forzato, esse chiamano di sera i viandanti, o gli vanno loro stesse incontro e porgono l’estremità di un lenzuolo bagnato, di cui tengono l’altro capo, ordinando di aiutarle a strizzare il telo. Se essi sono così poco accorti da strizzare veramente questo telo torcendolo, le lavandaie finiscono per romper loro le braccia. Per scampare a questo supplizio, basta girare il lenzuolo nello stesso senso della lavandaia. Questa finisce per stancarsi, vedendo che il suo lavoro non procede, e lascia andare la sua vittima. Questa leggenda è molto diffusa in Bretagna, dove il timore delle lavandaie notturne è fra i più forti. Si eviti perciò con cura di sera la vicinanza dei luoghi in cui abitualmente viene lavata la biancheria. È ben sufficiente sentire da lontano il rumore spaventoso delle mestole.»
Come Le Men soggiunge in una nota, alla base di questa leggenda vi è la convinzione, altrettanto diffusa ai suoi tempi, dell’obbligo di una «riparazione, da compiersi sulla terra dopo la morte, degli errori commessi durante la vita» [9].

 
[1] Kannerez-noz (pl. kannerezed-noz) nelle grafie «unificata» (1941) e «universitaria» (1953), kanneres-nos (pl. kanneresed-nos) nella grafia «interdialettale» [cfr. F. Favereau (1997): VI-VII].
 
[2] É. Souvestre (2000): 102 (nota); Gw. Le Scouëzec (1986): 269 (nota); J. Berthou (1993): 9.
Per J. Berthou kannerez-noz «è il termine più antico e più spesso utilizzato», sovente però con la forma del singolare usata anche per il plurale (correttamente: kannerezed-noz), a partire dallo stesso Cambry.
Alcune nozioni di sintassi: il bretone, nei composti sostantivo + sostantivo, presenta l’ordine determinato-determinante (corrispondente in genere al Basic Order VSO [Verbo-Soggetto-Oggetto]), come in kannerez-noz e tour-tan ‘faro’ (letteralmente: ‘torre-di-fuoco’). Ciò a differenza dell’antico bretone, in cui di norma il determinante precedeva il determinato: mor-bran ‘cormorano’ (mor ‘mare’ + bran ‘corvo’). [L. Fleuriot (1989): 365-6.]

[3] F. Le Roux, Ch.-J. Guyonvarc'h (1983): 87:
couerezou, cowerezou chez Le Men, notation archaisante pour kouerez ‘lavandière’ (de kouez ‘lessive’);
kannerez ‘blanchisseuse’ chez Souvestre;
maouès-noz (maouez-noz) ‘femme de nuit’ chez Le Braz.
Utili informazioni lessicali anche in J. Berthou (1993): 9; ed etimologiche in A. Deshayes (2003), s. vv. kann, kovez, maw, Léon Fleuriot (1985), s. vv. cann, mauu, e X. Delamarre (2008), s. v. magus.


[5] J. Cambry (1993): 40.

[6] Il passo riportato da J. Berthou [(1993): 9] presenta qualche lieve differenza: «les Laveuses, ar Cannerez-noz (sic), qui vous invitent à tordre leur linge, qui vous cassent le bras si vous les aidez de mauvaise grâce, qui vous noient si vous le refusez, vous portent à la charité». «Charité» può valere ‘altruismo’, ‘amor del prossimo’ (o simile), e anche «donnez et on vous donnera» (significato suggeritomi da J. Berthou in una sua lettera del 13.2.1994).

[7] Dizionario mediobretone-francese-latino (specie di manuale di latino per i chierici bretoni) di Jehan Lagadeuc, della seconda metà del XV sec. (manoscritto del 1464; prima edizione a stampa, ad opera di Jehan Calvez, del 1499).

[8] A. Deshayes (2003), s. v. kan; Léon Fleuriot (1985), s. v. can ; F. Favereau (1997): 370-1.

[9] F. Le Roux, Ch.-J. Guyonvarc'h (1983): 79.
La stessa sorte di revenants (‘tornanti’, vale a dire ‘morti tornanti’) è riservata a chi deve ritornare sulla terra per filare il lino rubato, per mangiare tanta cenere quant’è stato il pane perso o sprecato, per tentare invano di accendere il fuoco sul focolare su cui da ragazza di fattoria ha lasciato cadere la pastella delle crêpes, per portare sacchi pieni di pietre se da mugnaio ha perso del grano affidatogli. Invece la donna sposata che ha ostacolato l’aumento della sua prole, ritorna sulla terra come scrofa seguita da tanti maialini quanti figli avrebbe potuto avere [pp. 79-80].

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