Gallico *iuos "Taxus baccata"


«Il tasso (ivin in bretone) è l'albero dell'immortalità perché sempreverde e di una longevità straordinaria. I cimiteri bretoni senza tassi non sono veri cimiteri. Ha anche la fama di essere il più antico degli alberi. La mazza del dio druido Daghda era di tasso così come la sua ruota. Si scrivevano incantesimi in ogham su legno di tasso. Quest'albero ha anche un simbolismo militare: si facevano scudi e aste di lancia con il suo legno.»

Tratto da: Divi Kervella, Emblèmes et symboles des Bretons et des Celtes, Coop Breizh, Spézet 1998, p. 17.



Il “tasso sanguinante” di Nevern 

<br><br>Il “tasso sanguinante” di Nevern <br><br>


Il “tasso sanguinante” (stillante linfa rossa) del cimitero della chiesa di Saint Brynach a Nevern, Pembrokeshire (Galles).







mercoledì 15 dicembre 2010

Le kannerezed-noz. 5ª parte



Paul Sébillot, Paul-Yves Sébillot

L’etnologo Paul Sébillot (1843-1918) dedica ai «personnages surnaturels» o «revenants» che fanno il bucato di giorno e soprattutto di notte — quindi anche alle «lavandières» bretoni —, alcune pagine del II tomo del suo Le folk-lore de France (prima edizione del 1905), nei paragrafi intitolati Les lessives merveilleuses [1] e Habitants et hantises des rivières [2].
Per quanto concerne credenze e leggende bretoni, Sébillot richiama e riassume diverse testimonianze folcloriche, raccolte sia nell’Alta che nella Bassa Bretagna, cui accenno brevemente qui sotto.
 
Les lessives merveilleuses
• Le fate dell’Alta Bretagna lavavano e stendevano sull’erba della biancheria candida; chi fosse riuscito a raggiungerla senza battere le palpebre, avrebbe potuto portarsela via. Alcune lavavano dalla mezzanotte in poi la biancheria portata ai lavatoi da lavandaie umane, che la ritrovavano al mattino perfettamente pulita [«Paul Sébillot. Trad. de la Haute-Bretagne, t. I, p. 92. 124»].
• Vi sono «lavandaie di notte» malefiche «che non si accontentano di attendere le persone presso il lavatoio, ma che penetrano nelle case», come è narrato nella storia Celle qui lavait la nuit, che Sébillot ripropone in forma sommaria [«A. Le Braz. Légende de la Mort, t. II, p. 259-263»], e in un racconto analogo riportato da F.-M. Luzel [«in Société archéologique du Finistère, t. XXI, p. 461»].
• Il bucato notturno, per la gran parte dei casi, è la punizione imposta a donne morte, che «espiano un crimine o un peccato grave commesso nel corso della loro vita». Nel dipartimento d’Ille-et-Vilaine si parla di madri infanticide che «cercano invano di far sparire la traccia del loro misfatto» [«Paul Sébillot. Traditions de la Haute-Bretagne, t. I, p. 229»].
• «La biancheria che le Kannerez-Noz di Bassa Bretagna presentano ai passanti contiene talvolta un neonato che grida e da cui cola il sangue» [«Paul Sébillot. Littérature orale de la Haute-Bretagne, p. 203. D’après une lettre de F. M. Luzel»].
• Nei dintorni di Dinan alcune lavandaie notturne lavano «le ossa dei figli morti senza battesimo; la loro apparizione presagisce un decesso» [«Lucie de V.-H., in Rev. des Trad. pop., t. XV, p. 620»].
• In Alta Bretagna le donne che hanno lavato di domenica devono espiare tale colpa al lavatoio, all’ora stessa, del giorno o della notte, «in cui hanno violato il riposo domenicale»; per la gran parte del tempo risultano invisibili [«Paul Sébillot. Trad. de la Haute-Bretagne, t. I, p. 248»].
• Le «lavandaie di notte» della Bassa Bretagna («du pays bretonnant») hanno strofinato con troppa energia la biancheria dei poveri «per economizzare il sapone»; come riferito da Le Men, per penitenza devono lavare nelle ore dispari della notte e trasportar pietre, però Sébillot non accenna all’uso delle pietre stesse nello sfregare i panni [3] [«Le Men, in Revue Celtique, t. I, p. 421»].
• A Chantepie (Ille-et-Vilaine), al lavatoio tutte le notti una vedova lava il lenzuolo, sporco e bucato, nel quale per avarizia aveva sepolto il marito [«A. Orain. Promenade d’automne aux environs de Rennes. Rennes, 1884, p. 12. Si racconta che il marito uscì dalla tomba e le consegnò il sudario che lei, da viva, dovette cercar di pulire»]. In alcuni paesi dell’Alta Bretagna si crede invece che a tornare ogni notte a lavare sia una morta che è stata avvolta in un lenzuolo sporco [«Paul Sébillot. Notes sur les traditions, p. 6»].
• Nelle vicinanze del lavatoio del castello del Plessix-Pillet — narra una leggenda dei dintorni di Rennes — si sente a mezzanotte battere una mestola: è una levatrice che non è riuscita a pulire la camicia macchiata di sangue affidatale da lavare, a notte fonda, dal signore di Changé, quando questi s’era reciso una vena «per firmare un patto col diavolo» [«A. Orain. Le sire de Changé. Rennes, s. d., in-12, p. 14»].
• Secondo Paul Féval, le «lavandaie di notte» del Morbihan cantano un ritornello «la cui origine popolare è abbastanza dubbia: “Torci lo straccio, / Torci / Il sudario delle spose dei morti”» (“Tors [sic] la guenille, / Tors / Le suaire des épouses des morts”) [«Paul Féval. Les Dernières fées»].
• Nel canto delle «lavandaie di notte» della Bassa Bretagna, dove talvolta vengon denominate Kannerez Noz, «chanteuses de nuit», vi è la spiegazione della «natura del loro supplizio» e del «modo in cui finirà: “Fino a che non venga un cristiano salvatore; – dobbiamo lavare il nostro lenzuolo, – sotto la neve e il vento” [4] [elemento tratto da Les Lavandières de nuit, in «E. Souvestre. Le Foyer Breton, t. I, p. 152»]. "Kannerez noz". Illustrazione di Erwan Seure-Le Bihan
• Una donna di Dinan, che si era alzata prima dell’alba per recarsi «au doué des Noes Gourdais», vi trovò già al lavoro una persona, più mattiniera di lei. «Quando giunse a breve distanza dalla lavandaia, questa stese il braccio che teneva la mestola, come per farle segno di non avanzare». Solo allora la donna si accorse che la testa della lavandaia era un teschio. Tale «lavandaia-scheletro» apparve nello stesso luogo a più riprese [«Paul Sébillot. Littérature orale, p. 202 ; Traditions, t. I, p. 250» — ringrazio Erwan Seure Le Bihan per avermi permesso di riprodurre qui accanto una delle sue belle illustrazioni].
• In Bassa Bretagna — Sébillot riassume la leggenda L’intersigne de «l’étang» raccolta da A. Le Braz [(1990): t. I, pp. 59-62] e di cui dirò più avanti [→ 7ª parte] — di notte una ragazza passa presso uno stagno e vede sulla riva opposta una lavandaia vestita «à la mode du pays»; allora le rivolge la parola e la donna risponde che sta lavando il lenzuolo nel quale il giorno seguente verrà seppellito il padre stesso della ragazza [«A. Le Braz. Légende de la Mort, t. I, p. 52»].
• Nella prima menzione scritta relativa alla credenza («probabilmente antica») alle «lavandaie di notte» (menzione «ni très détaillée, ni très précise»), risalente alla fine del XVIII secolo — nel Voyage dans le Finistère di J. Cambry —, si dice: «les Laveuses, ar cannerez-noz (les chanteuses de nuit) vous invitent à tordre leur linge, vous cassent les bras si vous les aidez de mauvaise grâce, et vous noient si vous le refusez». Il rischio di venir affogati, osserva Sébillot, non si ritrova nei racconti raccolti successivamente [«Cambry. Voyage dans le Finistère, p. 40»].
• Boucher de Perthes dà notizia di una cannerez-nooz (nome che, erroneamente — rileva Sébillot —, traduce con «laveuse» al posto di «chanteuse de nuit»), che si può incontrare presso alcune fontane: essa presenta un lenzuolo da torcere ai viandanti e girandolo nel medesimo senso arriva a mozzar loro le mani [«Boucher de Perthes. Chants armoricains, p. 204»].
• Delle lavandaie pregarono una donna di Landéda (Finistère), che a notte inoltrata stava tornando da un pranzo di battesimo, di dar loro una mano. Poiché lo faceva male, la minacciavano con le mestole. Allora intervenne quella che sembrava la loro superiora, dicendo alla donna: «Sei proprio fortunata ad aver portato un innocente in chiesa; diversamente t’avrei così bene torta, disattorta, ritorta, che mai dipanatore di matasse non sarebbe stato capace di dipanare ciò che io avrei fatto di te» [«L. F. Sauvé, in Annuaire des Trad. pop., 1888, p. 16-18»].
• «Un garçon» (da intendersi forse come «uno scapolo») del Léon, che aveva trascorso allegramente la notte di Ognissanti, presso un lavatoio si imbatté nelle Kannerez-noz, «chanteuses de nuit»; si tratta della leggenda Les Lavandières de nuit raccolta da Souvestre, che Sébillot ripropone nelle linee essenziali [«E. Souvestre. Le Foyer Breton, t. I, p. 152-154»].
• «In Alta Bretagna, non si raccontano storie così tragiche; ma si crede che sia pericoloso sbagliare senso nel torcere la biancheria con le lavandaie di notte» [«Paul Sébillot. Trad. de la Haute-Bretagne, t. I, p. 248»].
• A La Roche-Derrien si ritiene che si debba torcere nell’altro senso il lenzuolo, per evitare che si gonfi e non ne sgoccioli più l’acqua, bensì vi si scorga un cadavere, e «la fée» quindi giri più in fretta, attragga il malcapitato fino a gettargli sulla spalla una piega del sudario e ad avvolgerglielo intorno [«N. Quellien. Contes et nouvelles du Pays de Tréguier, p. 76»].
• Nei dintorni di Dinan «un personaggio maschile, la cui natura non è nettamente determinata», il teurdous (torcitore), non lava ma offre alle lavandaie il suo aiuto nello strizzare la biancheria, e se queste accettano, rompe loro le braccia [«Paul Sébillot. Notes sur les trad. de la Haute-Bretagne, ext. de l’Archivio, p. 5»].
 
Tali testimonianze relative alla Bretagna si alternano, ovviamente, ad altre analoghe di diversa provenienza regionale o dipartimentale.
Gli ultimi tre capoversi del paragrafo sono dedicati unicamente alla spiegazione razionale dell’origine della «superstizione delle lavandaie di notte» e alla «ripartizione geografica» della credenza.
La «superstizione» — a parere di alcuni — potrebbe essere nata in persone che, udendo di notte i versi di una specie di rana o di un piccolo rospo, li hanno scambiati appunto per i colpi di una mestola da lavandaia. È poi possibile che alcune lavandaie notturne non siano delle revenantes, bensì donne viventi che durante il giorno non hanno avuto tempo per lavare, o che si vergognano di farsi vedere mentre svolgono un lavoro «al di sotto della propria condizione».
La credenza alle «lavandaie di notte» risulta diffusa specialmente nella Francia occidentale, in particolar modo in Bretagna: dei 32 esempi rilevati da Sébillot nel capitolo V: Les eaux dormantes (pp. 388-466), 24 provengono dall’Ovest, 8 dalla Bassa Bretagna, 9 dall’Alta Bretagna; a questi vanno aggiunte 3 leggende bretoni di revenantes che lavano presso i fiumi (due dell’Alta Bretagna, una della Bassa Bretagna).
 
Habitants et hantises des rivières [5]
• Nei dintorni del ponte di Kergoet (Morbihan) appare una lavandaia revenante. Si ritiene sia una epilettica, annegatasi mentre lavava, che ritorna per compiere la sua penitenza; se riuscisse a toccare un passante lo trascinerebbe nel canale [«F. Marquer, in Rev. des Trad. pop., t. VII, p. 69»].
• A Calorguen, presso Dinan, la sera di Ognissanti si sentono tre colpi di mestola dati da una donna che perse la vita lavando sulla riva del canale [«Paul Sébillot. Trad. de la Haute-Bretagne, t. I, p. 250-251»].
• Sotto antichi ponti che si trovano nelle vicinanze di Bécherel e Tinténiac (Ille-et-Vilaine), dopo le 22 vi sono delle donne che lavano; quando gli ci si avvicina, si vede «una specie di luce» e le lavandaie «dicono: “Seguite la vostra strada, io faccio ciò che mi è ordinato”» [«Paul Sébillot. Les Travaux publics, p. 197»].
• Presso il ponte di Planche, passaggio obbligato lungo la strada tra Saint-Malo e Saint-Servan, «delle lavandaie filano con i loro capelli bianchi i lenzuoli che esse lavano»; se un giovane che passa di là a mezzanotte risponde ai loro lazzi, le lavandaie «lo costringono a torcere assieme a loro e gli spezzano gli arti» [«F. Duine, in Rev. des Trad. pop., t. XV, p. 505»].
• Le rive di fiumi e canali dei dintorni di Dinan erano frequentate un tempo da lavandaie notturne «abbastanza mal definite», ma malvagie; queste fermavano le chiatte e facevano girare le imbarcazioni all’alaggio come trottole, così da far andare a fondo cavalli e conduttori [«Elvire de Cerny. Contes et légendes de Bretagne, p. 25»].
 
Sébillot riporta anche, come unico caso riscontrato di «lavandaio di notte», la tradizione alto-bretone relativa al Lavous de nuit, essere molto temuto — una specie particolare di lupo mannaro —, che compare, sia pur abbastanza di rado, lungo i ruscelli. Si comporta come le «lavandaie di notte»: rompe gli arti a chi accetta di aiutarlo a strizzare la biancheria; è però «senza potere sugli uomini che portano su di sé un oggetto benedetto, e sembra anche obbligato a rifiutare i loro favori» [«Lucie de V.-H., in Rev. des Trad. pop., t. XV, p. 620»] [6].
 
In alcune pagine de La Bretagne et ses traditions [7] Paul-Yves Sébillot si occupa delle «laveuses» o «lavandières de nuit» bretoni, che ritiene «revenants notturni» cui è imposto come penitenza di lavare della biancheria.
Riprendendo prima di tutto alcuni degli esempi rilevati dal padre — non senza inesattezze o variazioni testuali —, ripropone qualche racconto in forma sintetica, menziona e spiega le credenze o alcuni elementi di leggenda, tra cui quanto segue.
• Il racconto di Souvestre e il ritornello [8] della «canzone» cantata dalle lavandaie, che nella Bassa Bretagna sono chiamate «des kannerien noz (chanteuses de nuit)» e lavano il sudario di chi sta per morire o il proprio.
• Uno dei Contes de Bretagne di Paul Féval, nel quale si racconta che, mentre una lavandaia torce il lenzuolo [9] assieme alla propria vittima, le altre danzano e cantano una canzone «en patois breton français», «della quale [Féval] dà una traduzione letteraria e il cui ritornello è “Torci lo straccio! torci / Il sudario / Degli sposi [sic] dei morti”» (“Tords la guenille ! Tors / Le suaire / Des époux des morts” [10]).
• Una leggenda nella quale si narra che verso la fine dell’Ottocento, in località Coëfferie (Coesmes, Ille et Vilaine), una ragazza interpellò una lavandaia sconosciuta che si vedeva dopo mezzanotte al lavatoio pubblico ed era chiamata «la Beduina»; le chiese se desiderasse delle messe o dei ceri di suffragio, al che ricevette sulla faccia un fagotto di biancheria, cadde all’indietro e perse i sensi. «La Beduina scomparve e la ragazza diventò pazza.»
• Un elemento tratto da quanto riferito da Paul Sébillot sulle lavandaie dei ponti presso Bécherel e Tinténiac: le lavandaie notturne «dicono al passante che le guarda o le interroga: “Seguite la vostra strada, io faccio quanto mi è ordinato”» — P.-Y. Sébillot però non cita, qui come altrove, la sua fonte, vale a dire in questo caso gli scritti del padre.
• La «spiegazione ben più naturale» delle tradizioni sulle «lavandaie di notte»: si tratta di donne che non potevano lavare la biancheria di giorno o che non avevano i mezzi per farsela lavare da altre. Se disturbate, avrebbero potuto comportarsi come la Beduina («che, forse, si anneriva il volto per non essere riconosciuta»), o anche richiedere alle persone indiscrete di proseguire per la loro strada, lasciandole compiere la loro “penitenza”.
• La spiegazione data da George Sand riguardo alle lavandaie del Berry: il rumore che si pensa sia fatto dalle lavandaie battendo le mestole, è in realtà prodotto da una specie di rana.
• La possibile diffusione della credenza ad opera di qualche prete allo scopo di contrastare gli infanticidi e il lavoro effettuato di domenica, e «obbligare a seppellire i morti in maniera decorosa».

 
[1] P. Sébillot (1968): 423-31. A fare il bucato sono perlopiù esseri femminili: si tratta di «morte condannate a delle espiazioni», e solo in alcune leggende di donne che «se rattachent au monde de la féerie» [p. 423].
 
[2] P. Sébillot (1968): 339-61.
 
[3] Yann Brekilien [(1994): 242] ricorda che i popolani scoppiano a ridere quando si parla della «biancheria lavata con delle pietre»: probabilmente i raccoglitori di leggende sono stati «vittime dello spirito faceto dei contadini della Cornovaglia o del Trégor», anche perché i poveri, mancando loro i mezzi, non hanno mai dato da lavare la loro biancheria alle lavandaie.
 
[4] «Jusqu’à ce qu’il ne vienne un chrétien sauveur ; – Il nous faut blanchir notre linceul, – Sous la neige et le vent» [P. Sébillot (1968): 427].
 
[5] P. Sébillot (1968): 352-3.
 
[6] P. Sébillot (1968): 352.
 
[7] P.-Y. Sébillot (1998): 181-4.
 
[8] «Ken na zeu Kristen Salver / Red e goelc’hri liçer / Dindan an earc’h ag an aer !», ritornello tradotto così da P.-Y. Sébillot: «Jusqu’à la venue d’un chrétien sauveur, / Il faut laver notre linceul, / Sous la neige et le vent !» («Fino all’arrivo di un cristiano salvatore, / Bisogna lavare il nostro lenzuolo / Sotto la neve e il vento!» [P.-Y. Sébillot (1998): 182].
 
[9] P.-Y. Sébillot [(1998): 183] indica anche la possibilità di far scomparire le lavandaie, che invitano a torcere i lenzuoli, facendo un segno di croce.
 
[10] In P. Sébillot [(1968): 427], come s’è visto, il ritornello era «Tors [sic] la guenille, / Tors / Le suaire des épouses des morts».

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