Gallico *iuos "Taxus baccata"


«Il tasso (ivin in bretone) è l'albero dell'immortalità perché sempreverde e di una longevità straordinaria. I cimiteri bretoni senza tassi non sono veri cimiteri. Ha anche la fama di essere il più antico degli alberi. La mazza del dio druido Daghda era di tasso così come la sua ruota. Si scrivevano incantesimi in ogham su legno di tasso. Quest'albero ha anche un simbolismo militare: si facevano scudi e aste di lancia con il suo legno.»

Tratto da: Divi Kervella, Emblèmes et symboles des Bretons et des Celtes, Coop Breizh, Spézet 1998, p. 17.



Il “tasso sanguinante” di Nevern 

<br><br>Il “tasso sanguinante” di Nevern <br><br>


Il “tasso sanguinante” (stillante linfa rossa) del cimitero della chiesa di Saint Brynach a Nevern, Pembrokeshire (Galles).







mercoledì 22 dicembre 2010

Le kannerezed-noz. 7ª parte




Revenantes

Vediamo ora di definire, per quanto possibile, in maniera più precisa la condizione di fondo e gli aspetti primari delle lavandières de nuit bretoni fin qui esaminati, muovendo innanzi tutto dalle conclusioni, dalle sintesi cui son pervenuti alcuni studiosi.

Secondo Gw. Berthou-Kerverzhioù, queste «sono “anime erranti”, in “purgatorio”, che stanno espiando i loro peccati, — sono allora indifferenti o benevole, — o in “inferno per l’eternità”; — sono allora generalmente malefiche. È un gruppo secondario nell’insieme dei “Revenants”, che fanno o rifanno quaggiù dopo la morte ciò che non hanno fatto (dovendolo fare) o hanno fatto male da vivi.» E inoltre — ci dice ancora Berthou-Kerverzhioù — stando a quanto precisano Souvestre e Le men, può trattarsi anche di donne «che di notte lavano della biancheria misteriosa come punizione delle loro colpe. Altre volte non sono che spiriti malefici, i quali non sono necessariamente degli “spiriti umani disincarnati”. In Scozia, nelle Isole Ebridi, la lavandaia di notte lava il sudario di quelli che moriranno entro l’anno...» [1].

Per Gw. Le Scouëzec le kannerezed-noz costituiscono una categoria dell’insieme comprendente gli «esseri della Notte» e i defunti (Anaon), tutti esseri appartenenti ad un «mondo intermedio» posto tra l’Altro Mondo e il nostro [2]. Si tratta di particolari Anaon di sesso femminile, «il cui incontro è quasi sempre fatale agli esseri umani», loro parenti, cui «fortuitamente» accade di imbattersi in esse attorno ai lavatoi [3]. Ne Le Guide de la Bretagne, l’Autore ricorda la presenza delle «lavandaie della notte» in due luoghi: nella zona di Brasparts e attorno a un vecchio lavatoio nei pressi di Commana. Ecco quanto riferisce delle credenze relative alla prima località:
Tra il tramontare e il sorgere del sole, queste donne, grandi e magre, vanno ai lavatoi di questo mondo a fare il bucato dei sudari: Sono gli Anaon, delle anime che nell’Aldilà attendono la loro liberazione e devono lavorare, in remissione dei loro peccati. Lo sventurato che le incontra riconosce in mezzo ad esse delle parenti defunte: queste lo supplicano di aiutarle, lo costringono persino a strizzare i sudari. Bisogna sempre allora girare nel loro stesso senso, e guardarsi bene dal torcere la biancheria: altrimenti, il sangue del maldestro se ne andrebbe [«le sang du maladroit s’en écoulerait»], egli cadrebbe morto, le mani rotte dalla stretta di ferro delle lavandaie. [4]
Paul-Yves Sébillot, ne La Bretagne et ses traditions, pone le «lavandières de nuit» tra i «revenants notturni così numerosi nelle tradizioni bretoni», i quali «per ragioni diverse, compiono delle penitenze sulla terra».
Queste dipendono da quattro (e probabilmente più) diversi motivi, non tutti corrispondenti a colpe commesse in vita dalle «revenantes»:
a) l’uccisione dei propri figli (Ille-et-Vilaine);
b) il danneggiamento della biancheria della povera gente, per lo sfregamento di pietre al posto del sapone (Basse-Bretagne);
c) l’utilizzo di un sudario non pulito per la salma di una donna morta, che quindi come revenante dovrà lavarlo tutte le notti (Haute-Bretagne);
d) l’aver lavato la biancheria di domenica: in questo caso le «lavandières» tornano a lavare di notte e talvolta anche di giorno, proprio all’ora e nel luogo in cui è stato commesso quel peccato, «ma allora sono invisibili per la maggior parte del tempo» (Ille-et-Vilaine) [5].

Nella Présentation al catalogo da lui redatto, Jean Berthou afferma che il castigo delle Lavandaie «può essere eterno», dipendendo ovviamente dalle colpe commesse. Sulla base di queste, enumerate in successione di gravità crescente, egli divide le Lavandaie in quattro categorie (per l’appunto, le sole che a me risultano attestate):
a) le maldicenti (numerose presso i lavatoi da tempo immemorabile);
b) quante hanno lavato di domenica;
c) quelle che (economizzando sul sapone) hanno rovinato la biancheria altrui;
d) le infanticide, il cui peccato è «imperdonabile» [6].
Immagino che Berthou abbia pensato anzitutto a queste ultime nel prospettare per alcune Lavandaie un castigo «eterno». D’altra parte, nel catalogo, l’unico testo folclorico sulle «lavandaie» bretoni associabile in qualche modo all’infanticidio è quello di Cadic, che tuttavia — come ho già rilevato [→ e 6ª parte].— è una testimonianza piuttosto eterogenea.
Inoltre Berthou — nel paragrafo che precede il passo sui quattro tipi di colpa — proprio là dove, riferendosi alle leggende raccolte da Luzel e Le Braz, ha appena ricordato sia i poteri magici (sulle cose) di quella specie di «divinità inferiori» che sono le «lavandaie», sia i contro-poteri — le conjurations — trasmessi di generazione in generazione, continua il capoverso osservando che il potere delle Lavandières non è illimitato: «è debole sulle partorienti [femmes en couches] e nullo sulle madri di famiglia numerosa». Se questa completa mancanza di potere è esemplificata dalla storia di Jeannic C. di Brennilis (Cadic), sul potere debole sulle partorienti non mi risulta vi sia alcun cenno né in A. Le Braz (1990) né nei testi d’ambito bretone riportati nel catalogo stesso: da quale documento folclorico bretone Berthou avrà mai tratto tale credenza [7]?

Giacché nella maggior parte delle testimonianze esaminate le lavandières de nuit si comportano in maniera ostile verso i vivi, cercando, tutto sommato, di farli morire (o forse in qualche caso causare loro una grave menomazione), è verosimile che si tratti piuttosto di anime dannate. Ciò non toglie che, come è testimoniato da più raccoglitori e studiosi di folclore bretone, fossero diffuse, nella Bretagna del XIX secolo, credenze concernenti anime in pena del purgatorio — revenants tipici — che quaggiù debbano espiare le loro colpe, meno gravi, commesse in vita (si pensi, ad esempio, alle «lavandaie penitenti di Brennilis» menzionate da Cadic, e anche forse alle lavandaie che invitano i passanti a proseguire per la loro strada); e perfino credenze e leggende in cui compaiono assieme, in modo “contraddittorio”, elementi specifici dell’una e dell’altra categoria di anime. Infatti, come giustamente ha rilevato Gwenc’hlan Le Scouëzec a proposito degli Anaon, «la distinzione cattolica tra purgatorio e inferno» non sempre è così netta per i Bretoni [8].

Non manca inoltre alla tradizione bretone un tipo di «lavandaia della notte» diverso da quello che Le Braz pone tra les morts malfaisants: una «lavandaia» che si limita ad annunciare una morte imminente, poiché lava il sudario del morto e ne indica chiaramente l’identità — come fanno in Souvestre le due «femmes blanches» incontrate da Wilherm subito dopo l’Ankou.
Su questa messaggera della morte, che si può dunque collocare tra queste e la banshee (irl. bean sí) irlandese e ancor meglio la bean nighe delle Highlands [9], conosco solo la storia intitolata L’intersigne de «l’étang», narrata a Le Braz da Jean-Pierre Dupont, nella città di Quimper (Finistère) [10]. In essa si racconta di una ragazzina che, una domenica sera, inviata come altre volte dalla madre a Penhars a cercare il padre nelle osterie, e vista sulla riva di uno stagno a lato della strada una lavandaia che portava la cuffia e le vesti tipiche del paese, le rivolge la parola secondo l’uso appreso, e così si sente preannunciare per il giorno seguente la morte del padre. In effetti questi, ritornato a casa con la figlia e sedutosi accanto al focolare con la sua scodella di zuppa, viene raggiunto dalla morte poco dopo [11]. Dal dettaglio dell’abbigliamento di foggia locale della lavandaia si può supporre che si tratti di una morta, forse la più recente, della parrocchia.
A tale particolare «lavandière» si possono avvicinare quelle dei dintorni di Dinan, menzionate da P. Sébillot [→ 5ª parte], la cui «apparizione presagisce un decesso», che però lavano le ossa dei propri figli «morti senza battesimo» — e in questo fatto consiste presumibilmente la loro colpa.

Non si può dunque concordare pienamente con Léon Marillier su quanto detto, nell’«introduzione alla prima edizione» (1892) de La Légende de la Mort, riguardo agli «esseri malefici e pericolosi, il cui incontro è funesto», vale a dire «les laveuses de nuit (kanerez-noz), le crieur de nuit (ar hopper-noz), le petit enfant de la nuit (ar buguel-noz)» e la stessa maouez-noz. Per Marillier questi esseri popolano la notte così come le «anime dei morti», ma «non sono mai stati dei vivi», «sono di un’altra razza rispetto alla razza degli uomini [12]; sembrano tuttavia far parte dello stesso mondo di cui fan parte i morti». E ancora: «È molto difficile sapere quel che sono esattamente le lavandaie della notte; sembra proprio che non appartengano alla stessa razza dei vivi, ma hanno tuttavia l’apparenza di donne normali». L’Autore poi azzarda una sua congettura: «Forse tutti quegli esseri soprannaturali erano originariamente dei morti e sono solamente i nomi particolari che essi hanno ricevuto o le funzioni speciali che l’immaginazione popolare ha loro attribuito, che li hanno innanzitutto separati dalla folla delle altre anime. Il fossato si è scavato sempre più in profondità e s’è finito per considerarli non più come delle anime, ma come degli spiriti» [13].

In conclusione, le «lavandaie della notte» tipiche — così come ci vengono delineate in alcuni importanti documenti folclorici (specialmente quelli di Souvestre, Le Men, Cadic ed in parte Le Braz e Luzel), pur sempre appartenenti ad un ambiente cristian(izzat)o — paiono essere dei particolari revenants molto simili a spiriti notturni malefici, e pertanto a questi assimilabili, fermo restando che in altri casi — in un contesto narrativo-folclorico meno o apparentemente non cristian(izzat)o — si mostrino o vengano presentati dai folcloristi piuttosto come esseri maligni soprannaturali (in modo particolare nel racconto La Lavandière de nuit raccolto da Luzel e nel testo della De Cerny). Si può inoltre accettare, in via ipotetica, che la loro origine possa risalire, almeno in parte, alla mitologia celtica.


[1] Gw. Berthou-Kerverzhioù (1950): 124.
Secondo quanto riferisce G. Dottin, la «lavandaia di notte» delle Ebridi lava gli abiti di chi annegherà entro l’anno. È comunque un avvertimento di morte vicina; per evitare la sua azione malefica, bisogna vederla prima di esser visti da lei [A. Le Braz (1990): t. II, p. 239 (nota 2)].

[2] Gw. Le Scouëzec (1986b): 125-7.

[3] Gw. Le Scouëzec (1989): 14.

[4] Gw. Le Scouëzec (1989): 126, 180.
Con l’espressione «le sang du maladroit s’en écoulerait», Le Scouëzec si riferisce o a una vera e propria morte per dissanguamento (assai rara nei racconti bretoni) o a un decesso simile negli effetti (la vita che vien meno, si spegne a poco a poco), il che consentirebbe parimenti di mantenere l’analogia con la biancheria strizzata che perde via via buona parte dell’acqua di cui è imbevuta.
Invece nel racconto Les lavandières de la nuit, ambientato tra Beauvais, la Valle senza Ritorno e Tréhorenteuc (Alta Bretagna), la vittima delle «lavandaie della notte» non muore “strizzata”, schiacciata, stritolata, battuta o per rottura degli arti (oppure soprattutto «soffocata», come sostiene J. Berthou — si veda infra), ma perché il lenzuolo gli si appiccica alla pelle. In tale leggenda un giornaliero di nome Menou torce dalla parte sbagliata (verso sinistra) un lenzuolo che alcune lavandaie della notte gli hanno porto; queste — che non vengono definite fantasmi, revenantes, bensì «des femmes toutes blanches, des fées qui lavaient leurs draps» — scompaiono subito dopo e Menou si ritrova col lenzuolo incollato alla pelle. Ritrovato mezzo morto la mattina seguente, viene portato all’ospedale ma muore tre giorni dopo [Carrefour de Trécélien (2000): 167-9].
Diverso ancora il metodo con cui le lavandaie uccidono le proprie vittime in P.-Y. Sébillot [(1998): 183]: quando il malcapitato si ritrova con le mani imprigionate nel lenzuolo, le altre lavandaie lo colpiscono a morte con dei lenzuoli strizzati.
Secondo J. Berthou (comunicazione personale — lettera del 5.1.1994), i narratori non si soffermano sul modo di morire delle vittime: «elles meurent étouffées, c’est tout ; pas question de sang versé, de souffrance».

[5] P.-Y. Sébillot (1998): 181.

[6] J. Berthou (1993): 12.

[7] Jean Cooper riferisce di un’antica usanza bretone che consisteva nell’invitare a un parto (accouchement) le fate [J. Cooper (1993): 65]. Con tutta evidenza si tratta di esseri soprannaturali benefici, all’opposto delle «lavandaie della notte».

[8] Gw. Le Scouëzec (1989): 14. Cfr. anche A. Le Braz (1990): t. I, p. LI.
Per F. Morvan le lavandières de nuit non possono esser ritenute delle «fate delle acque», bensì (come lo sono le Dames blanches) «piuttosto delle revenantes, condannate a lavare e rilavare» della biancheria «per ragioni diverse». In alcune località le fate delle acque sono scomparse, soppiantate dalle «lavandaie»: così, ad esempio, Le Men nel Finistère non ha rintracciato che «lavandaie» condannate «a una pena eterna per aver lesinato sul sapone» [F. Morvan (1999): 120]. Però, che la penitenza debba essere proprio eterna da Le Men non vien detto.

[9] Cfr., tra le varie opere consultabili (e i dizionari citati fin qui), D. Kervella, E. Seure-Le Bihan (2001): s. vv. Bean Sí, Bean nigheadaireachd.

[10] Cfr. P. Sébillot (1968): 428.

[11] A. Le Braz (1990): t. I, pp. 59-62. Nell’indice, sotto la voce lavandières de nuit è segnata anche la p. 60 del I tomo, a dimostrazione del fatto che anche la lavandaia dell’intersigne dello stagno va considerata tra les lavandières de nuit.

[12] Una tale ipotesi, secondo Paul Sébillot, non è verosimile perché non suffragata dalla documentazione di cui si dispone [P. Sébillot (1968): 425].

[13] A. Le Braz (1990): t. II, pp. 434-6.

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