Gallico *iuos "Taxus baccata"


«Il tasso (ivin in bretone) è l'albero dell'immortalità perché sempreverde e di una longevità straordinaria. I cimiteri bretoni senza tassi non sono veri cimiteri. Ha anche la fama di essere il più antico degli alberi. La mazza del dio druido Daghda era di tasso così come la sua ruota. Si scrivevano incantesimi in ogham su legno di tasso. Quest'albero ha anche un simbolismo militare: si facevano scudi e aste di lancia con il suo legno.»

Tratto da: Divi Kervella, Emblèmes et symboles des Bretons et des Celtes, Coop Breizh, Spézet 1998, p. 17.



Il “tasso sanguinante” di Nevern 

<br><br>Il “tasso sanguinante” di Nevern <br><br>


Il “tasso sanguinante” (stillante linfa rossa) del cimitero della chiesa di Saint Brynach a Nevern, Pembrokeshire (Galles).







lunedì 17 gennaio 2011

Le kannerezed-noz. 9ª parte



Approfondimenti: le insidie

In Le Men — come si è visto [→ 8ª parte] — le lavandaie approfittano della sconsideratezza di alcuni passanti che si fermano ad aiutarle; non vien detto che attirino qualcuno con lusinghe o un aspetto piacevole, incantevole: appaiono invece puntare risolute al loro scopo, non — come ci si aspetterebbe, e come afferma Cambry (e con lui Cadic) [1] — invitando, bensi ingiungendo («en leur ordonnant» [2]) di dar loro quell’aiuto che si rivelerà esiziale, come sanno quanti dopo il tramonto si tengono alla larga dai lavatoi.
Impongono dunque, quasi credessero di tenere ormai in proprio potere il malcapitato viandante, già prima che questi abbia afferrato il suo capo del lenzuolo. Chi d’altra parte in Bretagna, se non uno sprovveduto privo di buon senso o un forestiero, oppure un tipo alla Wilherm Postik, darebbe una mano a una donna che di notte lava le lenzuola — e non della semplice biancheria, delle camicie, come fa Fanta Lezoualc’h in Le Braz — e chiede aiuto a uno sconosciuto, trovandosi da sola in evidente difficoltà, e perciò contando — e qui sta la sostanza dell’insidia — sulla vanità altrui? Come infatti rifiutare a una donna un favore, specialmente se si ha l’occasione di mostrare la propria forza e abilità? (In realtà di giorno un uomo può tranquillamente aiutare delle lavandaie a strizzare lenzuola, come minimo per gentilezza, anche quando vede bene che esse possono farcela da sole dandosi reciprocamente una mano.)
Chi poi, se non un incapace (ma con le migliori intenzioni di rendersi utile) o uno come Wilherm Postik — che sappia quale rischio sta correndo, ma agisca temerariamente —, continuerebbe a torcere il lenzuolo nello stesso senso della lavandaia? Tutti gli altri, sprovveduti o forestieri, dopo qualche istante si troverebbero con le braccia rotte.

In Souvestre sono presenti più lavandaie, che specialmente se giovani, dovrebbero sapersela cavare da sole, senza chiedere aiuto ai viandanti. Come già si è visto [→ e 7ª parte], le kannerezed-noz sono numerose perché appartengono al tempo stesso a una particolare categoria di revenants e all’insieme delle anime dei defunti, che nella notte tra i Santi e i Morti riempiono le vie. Hanno poi a che fare non con un forestiero, ma con un nativo del luogo, anzi per alcune con un loro parente, che, empio e sfrontato peccatore, per un bel po’ si burla di loro, sicuro di poter evitare lo schiacciamento adottando le precauzioni che ha «appreso dai suoi vecchi».
Nel fare delle kannerezed inoltre, non compare alcun tipo di ammaliamento, di lusinga; esse non provocano, bensì per la seconda volta annunciano la morte a Wilherm, il quale invece continua a non dar importanza a segni e voci di avvertimento. La loro richiesta di aiuto non ha niente di ingannevole, proprio perché sappiamo dal racconto stesso che Wilherm è avvisato (in tutti i sensi): è l’espediente specifico per recargli una morte preannunciata e una dannazione meritata.

Alquanto palese, al contrario, ai nostri occhi, l’insidia macchinata dalla maouès-noz contro Fanta Lezoualc’h, che pur non ignorando l’esistenza delle lavandières de nuit, si è lasciata convincere ad accettare l’aiuto di una di esse, credendola una donna mossa da spirito caritatevole. Significativo il lasciar momentaneamente cadere l’offerta di aiuto formulata dalla maouez — «[...] ­sono dispostissima ad aiutarti se sei d’accordo» —, per poi riprenderla (e passando al pronome allocutorio vous) quando la stanchezza, la fame e la convinzione della durezza della propria vita si fanno in Fanta ancor più insopportabili:
– Avete una vita dura, Fanta Lezoualc’h?
– Potete dirlo. Soprattutto in questo momento. Dall’Angelus del mattino fino al calar della notte, nei campi. E deve andare avanti così fino alla fine di agosto. Vedete, manca poco alle dieci, e non ho ancora cenato.
In Luzel la «lavandière de nuit», come s’è visto [→ 4ª parte], si presenta come una donna sconosciuta che presumibilmente ha fatto tardi, e perciò si rivolge a chi è ancora alzato — Marianna Kerbernès — per sapere che ore sono:
Passando davanti a casa vostra, ho visto della luce, e siccome non so che ora sia esattamente, sebbene mi sembri debba essere quasi mezzanotte, ho voluto entrare, per chiedere l’ora.
Come ben sappiamo, questa è una scusa: una volta entrata nell’abitazione, informatasi (o ricevuta conferma) sulle abitudini insolite di Marianna e la presenza di marito e figli, la sconosciuta, agendo al tempo stesso sulla predilezione e sull’amor proprio della sua vittima, la induce facilmente a gareggiare quasi con lei nel filare: «e vedrete come sgobbo», dice infatti l’ospite. E così pure più avanti, terminata la filatura, Marianna, proprio perché «desiderosa di approfittare della buona volontà di una lavoratrice tanto abile» (quale si era dimostrata quella straordinaria filatrice), si lascia ulteriormente irretire. Lei infatti non sa, non si rende conto che ha a che fare con una specie di strega in grado di comandare a tutte le cose adoperate o toccate dalle proprie mani; non sa dunque che ogni nuova attività svolta dentro casa dall’ospite procura a questa un maggior potere da usare contro di lei e i suoi farmigliari.


[1] J. Berthou (1993): 9 (Cambry) e 58 (Cadic).
Cambry soggiunge: «[les Laveuses] vous portent à la charité», che si può tradurre con ‘vi inducono all’altruismo’.

[2] F. Le Roux, Ch.-J. Guyonvarc’h (1983): 79.

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