Gallico *iuos "Taxus baccata"


«Il tasso (ivin in bretone) è l'albero dell'immortalità perché sempreverde e di una longevità straordinaria. I cimiteri bretoni senza tassi non sono veri cimiteri. Ha anche la fama di essere il più antico degli alberi. La mazza del dio druido Daghda era di tasso così come la sua ruota. Si scrivevano incantesimi in ogham su legno di tasso. Quest'albero ha anche un simbolismo militare: si facevano scudi e aste di lancia con il suo legno.»

Tratto da: Divi Kervella, Emblèmes et symboles des Bretons et des Celtes, Coop Breizh, Spézet 1998, p. 17.



Il “tasso sanguinante” di Nevern 

<br><br>Il “tasso sanguinante” di Nevern <br><br>


Il “tasso sanguinante” (stillante linfa rossa) del cimitero della chiesa di Saint Brynach a Nevern, Pembrokeshire (Galles).







martedì 22 febbraio 2011

Le kannerezed-noz. 13ª parte



Lavandières de nuit e revenants in Bretagna

Come ho evidenziato e argomentato ampiamente nella “” e nella “7ª parte”, nelle «lavandières de nuit» di rilevanti documenti della tradizione orale bretone [Cambry, Le Men, Souvestre (in parte), Le Braz (Celle qui lavait la nuit), Luzel, Cadic, de Cerny, Erwan Berthou, Jules Gros, le bambine di Commana; le storie della donna di Landéda e dell’epilettica annegatasi mentre lavava], si deve piuttosto vedere una categoria di revenants simili per più tratti a spiriti notturni malevoli; dei revenants quasi certamente dannati, dato il loro atteggiamento ostile nei confronti dei vivi, soprattutto di persone da biasimare per il non rispetto (talvolta occasionale) di alcune norme e consuetudini comuni, e per la scarsa avvedutezza, più che per gravissime colpe verso Dio o il prossimo.
Si tratta (quasi) sempre inoltre di esseri femminili, la qual cosa si potrebbe facilmente spiegare con il fatto che a fare il bucato al lavatoio erano le donne. L’unico caso di «lavandaio» a me noto [→ e 6ª parte] è quello dell’«homme qui lavait» di Poul-er-Pont, Trinité-sur-Mer (in Cadic), vale a dire Paotr Poul-er-pont, uno spontailh (‘spauracchio’), un essere notturno che si diverte a spaventare e a fare scherzi. In realtà non lo si può ritenere un revenant [1].
Ma esiste una categoria di “ritornanti” maschi, di hommes-spectres, in qualche modo paragonabile a quella di femmes­-spectres costituita dalle kannerezed-noz?
Secondo Georges Dottin, Yann Brekilien, Gwenc’hlan le Scouëzec, non sono revenants né i vari Paotred (‘garcons’) della zona di Carnac, né il «crieur de nuit» (hoper-noz) o il «petit enfant/berger de nuit» (bugel-noz), tutti «Esseri della Notte» differenti dal popolo dei defunti, gli anaon. Forse è un antichissimo revenant «Petit Jean de la grève» (Yannig an aod), che per alcuni è invece l’Ankou dei marinai [2].
Costituiscono una specie particolare i krierien («crieurs»), anime urlanti di annegati («che reclamano una sepoltura»): nella valle dell’Aulne si crede che chi risponde al loro grido per tre volte, venga raggiunto e strangolato o annegato — ­sono dunque simili nel comportamento a Yannig an aod (cfr. quanto riportato nell’“11ª parte”). Si tratta di esseri maschili poiché nell’isola di Sein e a Cap Sizun son descritti come marinai indossanti cerata e nordovest (cappello di tela cerata). La loro apparizione collettiva — in fila per sette — annuncia un decesso o un naufragio [3].
Risulta assente in questa sintesi l’espiazione, il castigo, cioè proprio quell’elemento che in Le Men e Cadic, ma anche in Souvestre, caratterizza in senso cristiano il contenuto folclorico tradizionale relativo alle kannerezed. Ma se si guarda quanto riferito da Le Braz sulla categoria dei noyés — nessuno infatti può dubitare che i krierien siano degli «annegati» —, si ritrova quel motivo: i morti in mare «restano a fare penitenza nel luogo in cui sono stati inghiottiti, fino a che accada ad altri di annegare nello stesso posto. Solo allora essi sono liberati» [4].
Le Braz tra gli annegati pone anche Iannic-ann-ôd, anzi riferisce che tutti gli «annegati urlanti» vengono chiamati con quel nome [5]. Annovera invece tra i «morti malefici» il hoper-noz, registrandone un racconto in cui ha tratti simili a quelli del bugel-noz; nell’Introduction poi, considera tutte e due queste figure come dei «personaggi fantastici» che, «originariamente generati dalla paura delle tenebre», la credenza popolare ha trasformato in morti, in revenants [6].
Mi pare comunque che qui, e altrove, le Braz non differenzi i «ritornanti» dai «fantasmi», come se i due termini designassero all’incirca una stessa classe di morti. È opportuno dunque esaminare alcuni capitoli de La Légende de la mort allo scopo di definire quali diversi tipi di defunti e di anime, e con quali nomi, sono presenti nei documenti folclorici ivi raccolti da Le Braz.
• Sono «ritornanti» gli assassinati: essi infatti «“ritornano” [“reviennent”] finché il loro assassino non abbia “pagato il tributo”»; gli impiccati «sono condannati a rimanere tra cielo e inferno, per l’eternità» [7].
• L’Anaon (nome collettivo [8]) è formato dal «popolo immenso delle anime in pena». Numerosissime e in condizioni diverse (spesso sotto forma di animali), fanno penitenza sulla terra: «font sur terre leur purgatoire». L’Anaon è costituito anche da tutte le anime dei defunti [cfr. Gouel an Anaon = ‘Festa dei Morti’ (2 Novembre)]: non bisogna piangerlo troppo, altrimenti si turbano le anime beate, si ritarda la salvezza di quelle purganti, si raddoppia il supplizio di quelle dannate [9].
Les revenants. Tutti i morti devono «revenir» tre volte (ma quando non vien detto). Le anime devono fare penitenza nei luoghi e per il periodo loro assegnati da Dio (i suffragi accorciano la durata della pena). «Dopo la morte, l’anima compare al tribunale di Dio per subirvi il jugement particulier. [Quindi] ritorna sul corpo (non dentro), e vi resta per tutta la durata del funerale, fin dopo l’inumazione.» Poi si reca nel luogo in cui deve compiere la sua penitenza [10].
I revenants dunque, qui paiono anime penitenti. Tale condizione è confermata da un racconto in cui una donna che riceve la visita della figlia morta annegata, osserva: «Visto che tu ritorni, vuoI dire che non sei dannata» [11].
Les morts malfaisants: risultano tali sia dei «ritornanti malintenzionati» sia dei «fantasmi» malefici. Nel Léon si crede che le grandi ventate siano originate da turbini di anime rabbiose di dannati che cercano di nuocere ai vivi; chi non si getta immediatamente faccia a terra, viene avvolto, stordito e trascinato all’inferno. Sono posti tra i «morti malevoli» — lo si è visto (cfr. anche la “4ª parte”) — sia il hoper-noz sia le maouezed-noz. Che si tratti di anime tendenzialmente dannate lo si desume anche da un altro racconto, in cui si narra di tre morte condannate a una penitenza che vien detta eterna, ma viene compiuta nell’Argoat [12], in una capanna che alla fine della storia scompare assieme alle tre donne [13].
• I morti scongiurati sono in genere persone che hanno rubato e che devono restituire il mal tolto, persone che «hanno condotto una vita di disordini» (ricchi, nobili e borghesi). «Le loro anime sono condannate ad errare finché il torto che hanno fatto sia stato riparato in qualche modo. Esse sono astiose e malvagie.» Credo siano più che altro anime dannate [14].
L’inferno. «I dannati sono perduti per sempre. Di essi non si sente più parlare.» «I morti non ritornano mai dall’inferno» [15].
Sulla base di tali credenze si dovrebbe affermare che i revenants non possono essere anime dannate, ma solo anime espianti le loro colpe.

Nell’Introduction (datata 19 maggio 1902) Le Braz nota che i morti nella maggioranza dei casi continuano a «fare nell’altro mondo ciò che facevano in questo. [...] Il trapasso non cambia nulla alla condizione dell’uomo. Il morto è “partito”, ma la vita che conduce nella sua nuova residenza è identica all’esistenza di una volta. [...] Questi esseri d’oltretomba sono designati con un nome collettivo: ann Anaon, le Anime. Ma queste anime non appaiono affatto separate dai loro corpi. Il defunto mantiene la sua forma materiale, il suo aspetto fisico, tutti i suoi tratti.» E così pure i sentimenti, i gusti, le preoccupazioni, gli interessi. «Egli frequenta la sua casa quasi quanto in passato. Ritorna a sedersi al focolare, [...] a sorvegliare il movimento delle persone e quello delle cose.» «Ritorna, ho detto? L’espressione è impropria. Non sono affatto dei ritornanti, poiché, ad esser precisi, non si sono allontanati affatto, oppure talmente poco! [...] Se la morte è un viaggio, il ritorno, in ogni caso, segue molto da vicino la partenza. [...] L’immensa maggioranza dei morti [ovvero quanti non raggiungono quella specie di altro mondo sotterraneo che è lo Yeun Elez (vasto marais presso Brasparts) o quelli marini, primo fra tutti l’isolotto roccioso di Tévennec (al largo della Pointe du Raz), ove si trovano rispettivamente «le anime inquiete, pericolose» e quelle il cui corpo è stato inghiottito dal mare] sembra che entrando nella tomba, entrino nello stesso tempo nell’altra vita. Essi ritornano dunque, in definitiva, ai medesimi luoghi in cui sono sempre vissuti. Il soggiorno dei morti si confonde con quello dei vivi» [16].

Dieci anni prima, nell’introduzione (datata giugno 1892) alla prima edizione de La Légende, Léon Marillier aveva rilevato come in molte credenze e usanze funerarie dei Bretoni si manifestasse ancora un’antica «concezione tutta materiale» delle anime dei morti (si pensi soltanto — per citare solo un paio tra le abitudini ricordate da Marillier stesso — al treppiede tolto dal fuoco per evitare che i morti, sedendovisi sopra, si brucino o al pasto preparato per loro la sera di Ognissanti) [17]. A quello studioso dobbiamo anche un’utile “classificazione” delle anime dei defunti [18]:
– «le anime erranti, le anime che frequentano le case e le lande e con cui si intrattengono i vivi, sono tutte o quasi tutte le anime sofferenti che non hanno ancora terminato la penitenza» assegnata per i loro peccati;
– «i dannati sono perduti per sempre; una volta rinchiusi nell’inferno con i demòni, non si sente più parlare di essi»;
– «i ritornanti, per quanto cattivi possano essere, non sono affatto di solito dei dannati, sono delle anime in pena»;
– in alcune «leggende edificanti e morali», compaiono dei dannati dell’inferno ritornanti (per far cessare delle preghiere che causano un aumento della sofferenza; per rimproverare la propria madre la cui «cieca indulgenza» è stata causa di perdizione); si tratta però di casi eccezionali;
– in altre leggende, «d’origine veramente popolare», dei dannati, «malgrado la condanna divina, non sono stati affatto precipitati nell’inferno e son rimasti sulla terra dei vivi nelle dimore degli uomini». Per mezzo di esorcismi e scongiuri vengono costretti «a recarsi al soggiorno che è stato assegnato loro da Dio»;
– gli «eletti» escono raramente dal paradiso [19];
– «sono quasi sempre povere anime che attendono ancora che la bontà di Dio apra loro finalmente le porte del cielo», quei morti «caritatevoli» che, «come dei geni protettori del focolare», abitano le case dei loro cari.

In ultima analisi, per Anaon dobbiamo intendere innanzi tutto le innumerevoli anime penitenti ed erranti che si mescolano ai vivi. I revenants sono per lo più anime in pena, compresi quanti son deceduti di morte violenta o accidentale (assassinati, annegati...); qualche incertezza semantica nasce dal fatto che in francese revenant, il cui primo significato è di «anima che torna dall’altro mondo sotto un’apparenza fisica», è sinonimo di «fantasma» («apparizione di un morto»). I dannati sono quasi tutti rinchiusi nell’inferno: solo alcuni «ritornano» a far visita ai vivi; altri dannati frequentano luoghi terrestri e si dimostrano ostili ai vivi: sono i «morti malefici» e quelli da scongiurare.
Se possiamo collocare tra i «ritornanti malintenzionati» le «lavandaie della notte», è perché — stando a Le Men — sono condannate a ritornare sulla terra (e a ritornare, a quanto pare, ogni notte) a lavare presso i lavatoi. Ciò vale anche per le kannerezed de Les Lavandières de nuit (Souvestre), che ricordano cantando come la loro penitenza dovrà durare «fino al Giudizio» e paiono quindi delle anime espianti più che dannate, nonostante causino la morte dell’empio Wilherm[20] — come se ogni possibilità futura di ravvedimento, di pentimento fosse impensabile per lui, che già varie volte s’era rifiutato di vedere e ascoltare gli avvertimenti divini e umani.
Tra gli annegati invece, come si è visto, vanno posti i krierien, che sono quindi spesso anime in pena, senza pace, costrette a errare; troviamo anche in queste figure — ecco un’ulteriore analogia con le «lavandières de nuit» — quella certa ambiguità di condizioni, di atteggiamenti verso i vivi, che sovente caratterizza gli esseri del «Mondo intermedio» delle leggende bretoni, ed emerge talvolta maggiormente quando raffrontiamo le une con le altre le diverse tradizioni locali: possiamo sempre valutare in modo preciso se si tratti di «revenants» o di «spiriti notturni», di «anime in pena» o di «morti malevoli»/«dannati», di «anime erranti» per un periodo determinato o per l’eternità?
In effetti, anche il folclore bretone manifesta quelle discordanze tra la concezione cattolica dei tre luoghi dell’aldilà e le credenze popolari sulle anime dei morti, erranti perfino in eterno, credenze antichissime e attestate anche nel Medioevo, come Lecouteux e Marcq hanno così bene evidenziato [21].
Certo, a voler essere più precisi, si dovrebbe distinguere tra revenants e fantômes: i primi mantengono l’aspetto che avevano prima di morire, sono «corporei» (sia pure di una consistenza meno solida), fanno rumore, sono come dei «cadaveri viventi», possono apparire anche di giorno; i secondi sono «incorporei» e silenziosi, appaiono solo di notte, e così via. E ancora, bisognerebbe separare le «anime in pena» (ritornanti dal purgatorio) dalle «anime perse» (anime «confinate», vaganti, talora sotto forma di animale); oppure si potrebbero individuare e tenere sempre distinti due tipi di anime in pena: le “benefiche” (consapevoli della loro futura redenzione) e le “malefiche” (consapevoli della loro dannazione) [22].
Ma, come già s’è accennato, è vano cercare nei documenti folclorici una logica, una tendenza classificatoria o delle distinzioni nette: vi domina in genere una certa “confusione” o “indeterminatezza” [23].
Tutto sommato, per le kannerezed-noz a «fantasma» è senz’altro da preferire il termine «spettro», sia per la consistenza corporea, sia per i rumori e le parole (spesso) loro attribuiti, sia per la grande paura (pur non voluta) che generano in varie vittime delle storie esaminate [24].

 
[1] Cfr. A. Le Braz (1990): t. II, p. 239; Gw. Le Scouëzec (1989): 167-8 e (1986b): 126.

[2] Yann Brekilien definisce «Geni delle notti» tutti quegli esseri soprannaturali notturni — compreso Yannig an aod — diversi dalle anime dei defunti (anaon), tra le quali pone anche le kannerezed-noz [Y. Brekilien (1994): 228-32].
Ne Le folk-lore de France, P. Sébillot ritiene l’hoper-noz una specie di «lutin» [P. Sébillot (1968a): 158 e (1968): 347-8, 422-3]; colloca Yannig an aod dapprima tra gli annegati (seguendo Le Braz: cfr. infra la nota 5), poi tra gli «Hoppers», però col nome di Ian an Od (rifacendosi, a quanto pare, a Le Men) [P. Sébillot (1968): 138, 347-8].

[3] Cfr. Gw. Le Scouëzec (1986b): 126, Gw. Le Scouëzec (1989): 598-600, P.-Y. Sébillot (1997): 277. Dei krierien riferisce già Cambry nel suo Voyage dans le Finistère [Le Braz (1990): t. I, p. 398 (nota 1); J. Cambry (1993): 39, 290, 346].
P.-Y. Sébillot pone anche i krierien tra «Gli esseri fantastici delle notti», sui quali osserva: «Non si sa se sono degli spiriti o dei folletti, dei penitenti di Dio o degli accoliti dell’Inferno. Non si sa nemmeno da chi hanno il loro potere talvolta proteiforme; sono degli indipendenti» [P.-Y. Sébillot (1997): 273, 276-7, 279].

[4] A. Le Braz (1990): t. I, p. 402 (si veda anche la seguente).
Cfr. il «salvamento» da parte di un cristiano nel refrain cantato dalle «lavandaie» in Souvestre [→ 3ª parte].
P. Sébillot pone gli annegati e i krierien tra le «anime in pena» [P. Sébillot (1968): 12, 138-9]. Cfr. anche P.-Y. Sébillot (1998): 169, 195-6.

[5] A. Le Braz (1990): t. I, p. 404.

[6] A. Le Braz (1990): t. II, pp. 222-4; t. I, pp. LIII-LIV.

[7] A. Le Braz (1990): t. II, cap. XII, pp. 7-8. Cfr. P.-Y. Sébillot (1998): 193-4, 206.

[8] Anaon (medio br. anauon, nel 1499, e anaffon, nel XVI sec.) è un sostantivo plurale, traducibile con ‘(le anime dei) trapassati’ e derivato da un celt. *anamones ‘anime’; invece il cimr. annwfn ‘Altro Mondo, regno dei morti’ risalirebbe a un composto *ande-dubnos ‘mondo sotterraneo’ [A. Deshayes (2003), s. v. Anaon; X. Delamarre (2008), s. vv. anatia, antumnos].

[9] A. Le Braz (1990): t. II, cap. XIII, pp. 21, 25 sgg.; cap. XVI, pp. 101-2. Cfr. P.-Y. Sébillot (1998): 167-9, Y. Brekilien (1994): 236-37, F.-M.Luzel (2007): 21.

[10] A. Le Braz (1990): t. II, cap. XVII, pp. 113, 121, 146, 149; cap. VI, pp. 211, 225, 235-6. Cfr. P.-Y. Sébillot (1968a): 145 sgg., P.-Y. Sébillot (1998): 167-9, 181 sgg., 197 sgg., Y. Brekilien (1994): 239, F.-M.Luzel (2007): 20-1.

[11] A. Le Braz (1990): t. II, cap. X, p. 393.

[12] La parte interna della Bretagna, contrapposta all’Arvor, la parte marittima.

[13] A. Le Braz (1990): t. II, cap. XIX, pp. 203-6, 222-4, 234-8, 240-5. Delle «penitenze eterne» da compiersi sulla terra, P.-Y. Sébillot tratta in alcune pagine de La Bretagne et ses traditions [P.-Y. Sébillot (1998): 203-6].

[14] A. Le Braz (1990): t. II, cap. XX, pp. 251-2, 256. Cfr. quanto detto da Marillier a p. 448 dell’Appendice [A. Le Braz (1990): t. II], inoltre P.-Y. Sébillot (1998): 175-6 e F.-M.Luzel (2007): 21.

[15] A. Le Braz (1990): t. II, cap. XXI, p. 315. Cfr. Y. Brekilien (1994): 237-8.

[16] A. Le Braz (1990): t. I, Introduction, pp. LIV-LVII. Cfr: Y. Brekilien (1994): 241-2.

[17] A. Le Braz (1990): t. II, Appendice, p. 423.

[18] A. Le Braz (1990): t. II, Appendice, pp. 439-40.

[19] Secondo P.-Y. Sébillot, sono i morti che hanno meritato il Paradiso che «se donnent rendez-vous» la vigilia di Natale e le sere di S. Giovanni e di Ognissanti [P.-Y. Sébillot (1998): 168].

[20] In effetti, le «lavandaie», la notte (e non certo solo la vigilia del 2 novembre), frequentavano abitualmente il lavatoio presso il quale venne ritrovato morto Wilherm, tant’è vero che questi, arrivato al crocicchio, per tornarsene al villaggio aveva scelto la via più breve nonostante sapesse ch’era frequentata dai morti [Gw. Le Scouëzec (1986): 35]. L’elemento della vigilia della Festa dei Defunti serve dunque, più che altro, a mettere in rilievo le colpe di Wilherm Postik e a popolare i luoghi del racconto di un’infinità di morti.

[21] Cl. Lecouteux, Ph. Marcq (1990): 99, 116.
Pierre-Antoine Bernheim e Guy Stavridès, nel loro Paradiso Paradisi, riportano un passo tratto dal Manuel de folklore français contemporain (Paris 1946, I, 2, p. 791) di A. Van Gennep, in cui l’Autore afferma che «la convinzione che il morto può ritornare nel luogo dove aveva vissuto [...] fu fortissima in Francia presso quasi tutti i ceti sociali, e non si è attenuata che da un centinaio d’anni, con estrema lentezza tra i contadini, più rapidamente nelle città e nei centri operai» [P.-A. Bernheim, G. Stavridès (1994): 67].

[22] C. Lapucci (1991): 47; Cl. Lecouteux, Ph. Marcq (1990): 95, 97, 99, 151, 167-70, 191.

[23] Cfr. Cl. Lecouteux, Ph. Marcq (1990): 9-10 e C. Lapucci (1991): 231.
Alfonso M. Di Nola, riguardo alle «nozioni sui morti “tornanti”», parla di «labilità e indeterminatezza». Egli comunque distingue spettri, fantasmi, spiriti, «cadaveri viventi» [A. M. Di Nola (1993): 68-70].

[24] Si veda la nota precedente; cfr. inoltre C. Lapucci (1991): 125.
Sulle credenze folcloriche europee relative al ritorno dei morti e ai loro aspetti corporei (sete, fame, freddo...):
P. Sébillot (1990): 121-7.
Sui morti, gli spettri, i «doppi» nel Medioevo e nel folclore: M. Vovelle (1986): 22-30 e altre sgg., passim; sulle anime e gli spettri nel Medioevo, in riferimento specialmente alle concezioni della Chiesa e dei “letterati”: J.-Cl. Schmitt (1988): 182-205 e J. Le Goff (1982).
Nel folclore bretone, mi risulta siano del tutto assenti i vampiri, cioè quei redivivi o «non-morti» che assalgono i vivi al torace, lo mordono ma non sempre succhiano il sangue. D’altra parte in A. Le Braz (1990): t. I, p. 327 (nota), vien rilevato che in Bretagna i «revenants sanguinaires» son rari, mentre s’incontran di frequente nelle leggende irlandesi, in una delle quali si narra perfino di una donna che ritorna a divorare il marito (di un altro racconto riferito da Curtin — quello del morto portato sulle spalle — ho già detto nella “10ª parte” ).
Sono comunque ben presenti ne La Légende de la Mort, quei morti specifici che nelle tradizioni popolari di altri Paesi son ritenuti pericolosi e potenzialmente dei vampiri, vale a dire quelli privi di sepoltura e/o trapassati prematuramente: assassinati, impiccati, annegati (meno rappresentati i suicidi). E proprio nei casi di omicidio e annegamento compare un elemento tipico delle credenze sui vampiri, il sangue ancora fluido che fuoriesce dal cadavere [A. Le Braz (1990): t. I, pp. 354, 396, t. II, p. 2; P. Barber (1994): 68, 168, 216].

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