Gallico *iuos "Taxus baccata"


«Il tasso (ivin in bretone) è l'albero dell'immortalità perché sempreverde e di una longevità straordinaria. I cimiteri bretoni senza tassi non sono veri cimiteri. Ha anche la fama di essere il più antico degli alberi. La mazza del dio druido Daghda era di tasso così come la sua ruota. Si scrivevano incantesimi in ogham su legno di tasso. Quest'albero ha anche un simbolismo militare: si facevano scudi e aste di lancia con il suo legno.»

Tratto da: Divi Kervella, Emblèmes et symboles des Bretons et des Celtes, Coop Breizh, Spézet 1998, p. 17.



Il “tasso sanguinante” di Nevern 

<br><br>Il “tasso sanguinante” di Nevern <br><br>


Il “tasso sanguinante” (stillante linfa rossa) del cimitero della chiesa di Saint Brynach a Nevern, Pembrokeshire (Galles).







mercoledì 25 aprile 2012

Sappada/Plodn. Seconda parte


Allo scopo di comporre un quadro più completo e chiaro dei risultati fin qui raggiunti dagli studiosi [1] sulle origini e i primi secoli della storia di Sappada, esaminerò ora, punto per punto, dei brani dell’articolo di Peratoner riprodotti nella Prima parte, le affermazioni, le conclusioni più rilevanti, confrontandole e integrandole sia con notizie e dimostrazioni analoghe presenti in Sappada / Plodn (2002) e negli altri recenti lavori dello stesso autore [2], sia con notizie e dimostrazioni dissimili rintracciabili negli scritti di altri studiosi.

1. Lo stanziamento attorno al 1270.

La datazione intorno al 1270 coinciderebbe grosso modo con quella proposta da Norman Denison per l’immigrazione nel territorio di Sauris «durata qualche decennio», tra il 1250 e il 1280 [3]. L’individuazione di tale periodo verrebbe avvalorata dalla presenza nel dialetto saurano di «parole ed espressioni che nel tedesco meridionale sono entrate nella seconda metà del XIII secolo» e della «forma voschankh, ted. ‘Fasching’, per il Carnevale [...] precedente all’innovazione ‘Fasenacht’, che si trova, ad esempio, a Sappada nella forma vosenocht» [4]. Il che deporrebbe a favore della maggior conservatività — dello «stato di conservazione più arcaico» [5] — della parlata di Sauris riconosciuta da Maria Hornung [6], ma non di una colonizzazione tedesca della conca di Sappada avvenuta prima di quella saurana, semmai il contrario.
Stando a Peratoner, M. Hornung riteneva che l’insediamento di Sauris risalisse ad alcuni decenni prima del 1270 [7] — però secondo M. Benedetti e C. Kratter quella studiosa non era sicura del fatto che che la colonizzazione di Sauris avesse avuto luogo anteriormente a quella di Sappada [8]. Comunque sia, come sostiene Peratoner, «la variante della u palatovelare, data come decisiva a stabilire la divaricazione cronologica nella colonizzazione delle due località [9], o l’arresto dello sviluppo della ä medio-alto tedesca in ã [sic], attestata in documenti bavaresi del XIII secolo, potrebbe spiegarsi agevolmente anche col protrarsi dei contatti della comunità sappadina con le località di provenienza — o, più generalmente, con l’area linguistica tedesca adiacente —, fatto che potrebbe, del resto, aver prodotto un effetto di ‘ritardo’ nella precipitazione degli elementi ritenuti indiziari per la datazione dell’origine dell’insediamento. Non sempre, infatti, un distacco geografico o una dislocazione di una comunità in una vallata vicina corrisponde sincronicamente ad un distacco linguistico in senso stretto: tra i due momenti può intercorrere un periodo di transizione caratterizzato da una qualche forma di contatto e interazione, periodo oltre il quale una sensibile difformità evolutiva permette di distinguere alcuni tratti linguistici del gruppo derivato rispetto al suo ceppo d’origine.» [10]

Se dunque prendiamo in cosiderazione una eventuale colonizzazione risalente all’XI secolo — cioè all’incirca alle prime fasi del periodo linguistico del medio alto tedesco (1050-1350) —, in nessun modo documentata, dovremmo forse presupporre nel plodarisch dei fenomeni di ancor maggior conservatività che, per quanto in numero limitato, non mi pare i linguisti abbiano finora rilevato. Si può pensare comunque che ne siano state cancellate tutte le tracce dai successivi «flussi migratori» — si veda infra il § 6. — ipotizzati da Peratoner, per il quale gli stessi «elementi archeolinguistici riscontrati dalla Hornung potrebbero piuttosto dipendere da una successiva e più consistente immigrazione avvenuta in questo periodo [anni 1270 c.a-1296], fatto che avrebbe potuto del resto occasionare una revisione della regolamentazione da parte del patriarcato» [11].
In Storia di Sappada e in Sappada / Plodn (2002), per quanto riguarda le origini linguistiche comuni e i contatti intercorsi tra Sappada e Sauris, Peratoner afferma tuttavia: «All’origine dell’abitato di Sappada potrebbe, inoltre, collegarsi quella del paese di Sauris» ed «è possibile ammettere un’origine, almeno in parte, comune dei due insediamenti» [12]. Ciò farebbe pensare anche a una certa contemporaneità tra le due colonizzazioni, e dunque alla possibilità di retrodatare gli stanziamenti saurani all’XI secolo.

2. I documenti del 1295 e del 1296.

In Sappada/Plodn. Identità culturale di un’isola linguistica alle Sorgenti del Piave (2009) [d’ora in avanti: Sappada/Plodn (2009)] [13], dell’atto di donazione da parte di Henricus Fantuluttus [14] de Comelians (2 agosto 1295) Peratoner riporta sostanzialmente quanto già scritto in Storia di Sappada e in Sappada / Plodn (2002), innanzi tutto il nome del testatore e la forma più antica a noi pervenuta del toponimo di Sappada: Sapata [15].
In Documenti (2005), in quell’«atto testamentario» — ivi intitolato «Nota di lascito alla chiesa di Sappada» — il donatore viene però chiamato Henricus dictus Fantuluttus de Comeglians [16].

Per quanto riguarda il documento del 27 dicembre 1296 — intitolato, nella raccolta, «Privilegio concesso dal patriarca di Aquileia Raimondo della Torre» [17] —, in Sappada/Plodn (2009) [18], così come in Sappada / Plodn (2002), in cui viene riprodotta la traduzione in italiano [19], vengono forniti maggiori elementi informativi su quell’atto, con cui il patriarca Raimondo della Torre confermò ai Sappadini l’uso dei masi e delle terre precedentemente accordato, previo pagamento di una tassa annuale di «88 libbre di piccoli veronesi», che era sì raddoppiata rispetto a prima, ma li liberava «da tutti gli altri obblighi, oneri e servitù di qualsiasi genere».
Viene ribadito che il riferimento a quanto «solevano corrispondere dai tempi antichi» fa retrodatare le origini di Sappada a un’epoca ben anteriore al 1270 circa ipotizzato da M. Hornung: la dipendenza da Aquileia di Sappada, appartenente alla gastaldia di Carnia, risale al 1077, quindi è possibile che il più antico atto di concessione patriarcale (la cui documentazione è andata perduta) al quale sembra alludere il Privilegio del 1296, seguisse da vicino l’atto dell’infeudamento stesso; e si può anche pensare che nel 1077 il Patriarcato «rilevasse la situazione di diritto, con i relativi documenti, di tutte le comunità presenti nei territori acquisiti, per i quali è ragionevole supporre una regolarizzazione o codificazione del rapporto sotto il precedente ducato di Baviera, se non prima». Peratoner infatti non esclude che l’insediamento sappadino abbia avuto origine prima di quella data [20] — come ha riaffermato più volte in Sappada / Plodn (2002) —, vale a dire tra il IX e il X secolo, se non addirittura nell’VIII [21].
Peratoner però in questi tre secoli collocherebbe sia i supposti primi stanziamenti di Slavi alpini (per i quali si veda il § 3.) sia gli insediamenti iniziali bavaresi, che si sarebbero succeduti in quell’arco di tempo, senza che vi sia alcuna possibilità di datazione, se non approssimativamente relativa, né per gli uni né per gli altri. Pare comunque di poter capire che l’atto di concessione patriarcale perduto, attribuibile ad anni immediatamente successivi al 1077, fosse indirizzato ai coloni d’origine tedesca.
In Sappada/Plodn (2009) Peratoner, sempre orientato a retrodatare i primi stanziamenti, accenna a gruppi di famiglie che «colonizzarono la conca a partire, presumibilmente, dal IX o X secolo» [22] — in un periodo in cui si colloca anche l’assegnazione al Ducato di Baviera (952) dell’alta valle del Piave, appartenente alla Marca Aquileiese [23]. Dal contesto sembrerebbe trattarsi di coloni tedeschi, cui far risalire i masi sappadini originari, anche perché, come si dirà nel § 3., in quelle pagine non si accenna all’insediamento di Sloveni Carantani.

È tutto sommato plausibile che nella concessione di Raimondo della Torre, con le espressioni «pro fictu predicto antiquo» e «ab antiquo» — questa seconda compare due volte nello stesso periodo —, si alluda a un’epoca antecedente di duecento anni. A meno che antiquus non venga usato più con il senso di ‘anteriore, di prima, di un tempo’ che non di ‘antico’, e quindi si faccia riferimento ad una situazione precedente meno lontana nel tempo.
Una datazione più tarda probabilmente si concilierebbe meglio anche con il fitto di 44 libbre o lire di piccoli veronesi che il decano Ermanno affermava si pagasse «ab antiquo», perché i piccoli veronesi (Veronenses parvi) vengono menzionati in scritti soprattutto del XIII-XIV secolo, e ne Il Nuovo Pirona, alla voce pìzzul, si legge la seguente definizione concernente proprio le lire di piccoli veronesi: «Liris di pìzzui t. stor. = Lire (d’argento) di piccoli (veronesi = vuornês), moneta di conto del Patriarcato nei sec. XIII, XIV» [24].
Infatti, in base alle conoscenze in campo numismatico, relative ad attestazioni documentali d’ambito aquileiese, friulano o cadorino, si fa fatica a datare un primo pagamento d’affitto in lire di piccoli veronesi ai primi decenni del XIII, e a maggior ragione a fine XII secolo [25].
Si può comunque supporre che le 44 lire siano l’ammontare, ricalcolato in piccoli veronesi da Raimondo o più probabilmente un suo predecessore, del fitto fissato anteriormente in altra moneta (denari veronesi o frisacensi). Ma non è possibile che quella sia una somma pattuita alla fine dell’XI secolo, per cui «i tempi antichi» rievocati con la formula latina ab antiquo potrebbero non esser stati così remoti. Tutto sommato, una datazione al XII secolo risulterebbe appropriata per un precedente atto di concessione patriarcale, che forse è stato perduto, o forse non è mai stato redatto, visto che nel testo del 1296 Raimondo della Torre non vi fa alcun riferimento, bensì si limita a ricordare che il fitto di 44 lire gli è stato indicato dal decano di Sappada — tant’è che precisa: «se si trovasse che corrispondevano di più [più di 44 lire] ab antiquo, corrispondano di più», quindi più di 88 lire.
Non si può in effetti sapere se «ab antiquo» sia l’esatta traduzione di un’espressione usata dallo stesso Ermanno, che forse immaginava che le 44 lire fossero un fitto pagato dai Sappadini veramente «dai tempi antichi», oppure sperava che una tassa annuale corrisposta «ab antiquo» non dovesse esser modificata — aumentata — da Raimondo della Torre.
Quel che risulta certo è che nella somma da questi raddoppiata erano compresi il precedente fitto e la monetizzazione complessiva, sommaria, di «tutti gli altri obblighi, oneri e servitù» («angariis, perangariis et onoribus»). Si trattava, a quanto pare, di una cifra inferiore a quanto il Patriarca avrebbe potuto richiedere, qualora non avesse voluto prendere in considerazione le particolari difficoltà, le «privazioni» patite dai Sappadini a causa del clima rigido [26]. D’altra parte, nel documento in esame non vi è alcun cenno ad un possibile adeguamento della vecchia somma ad eventuali mutate condizioni economico-monetarie di fine XIII secolo.

Le notizie climatico-ambientali indicate nel «Privilegio», fanno pensare a condizioni climatiche peggiorate nel 1296 rispetto a quelle dei decenni precedenti e, a maggior ragione, dei decenni della prima colonizzazione tedesca: «ville de Sappada [...] site in loco frigido ac silvestri, ad quam propter nives validas et que pro majori parte, vel pro tribus partibus anni regnant in ipsa»; «tante propter in temperiem aeris frigiditatis existit» [27].
Si era molto probabilmente in una fase di ulteriore irrigidimento delle temperature, durante la fase fredda seguita al cosiddetto Periodo Caldo Medievale, protrattosi grosso modo dal IX al XII secolo (nel XII già si ebbero alcuni inverni particolarmente rigidi, specie nella seconda metà) [28]. È plausibile dunque che i Sappadini delle origini si siano trasferiti nella vallata in un periodo — nella prima metà del XII secolo, o già alla fine dell’XI — in cui le temperature erano ben più elevate.

Vanno qui segnalate poi alcune informazioni di rilievo contenute in quel documento:
a) la definizione di Sappada/Sapada come villa, cioè ‘villaggio’, senza alcuna menzione a quelle che oggi sono le borgate più vicine alla chiesa o a quella, più in alto, di Cima [29] («hominum ville de Sappada», «homines predicte ville», «Decanum dicte ville de Sapada», ecc.);
b) la possibilità di trasferirsi a Sappada offerta dal Patriarca a chi lo volesse («et aliorum omnium volentium se conferre ad habitationem ville predicte»), come se si trattasse appunto della conferma di una tendenza all’immigrazione già manifestatasi e autorizzata in epoche precedenti, nel XII-XIII secolo, e forse proprio attorno al 1270 [30].

3. L’insediamento di Sloveni Carantani.

In Sappada / Plodn (2002), in una nota [31], Peratoner ricorda l’ipotesi, formulata da Giorgio Piller Puicher in un suo libro del 1995 [32], secondo la quale nell’VIII secolo [33] vi sarebbe stata una colonizzazione iniziale duplice, ad opera di un gruppo slavo (arrivato attraverso la Val Degano) e di uno bavarese: il primo si sarebbe stanziato nell’area di Cima Sappada (il nome stesso di Sappada dipenderebbe da un slavo Sapadna ‘terra occidentale’ — su ciò si veda la Terza parte), il secondo in quella «lungo la vallata». In seguito avrebbe avuto luogo una graduale integrazione e assimilazione linguistica dei due gruppi, fatta eccezione «per alcune peculiarità superstiti e indiziarie di una loro differente origine». Peratoner rileva poi «che gli elementi prodotti a sostegno di tale ipotesi meriterebbero un ulteriore vaglio e approfondimento».

In alcuni articoli di Peratoner contenuti nel più recente Sappada/Plodn (2009), non si accenna però più all’insediamento nella conca di Sloveni Carantani né ai «toponimi a componente slavofona» o alle tracce di «radici paleoslave» riconoscibili in alcuni vocaboli sappadini, e ciò non si sa se per un eventuale ripensamento o piuttosto per esigenze di brevità [34].
Comunque sia, in via ipotetica i coloni tedeschi potrebbero esser stati preceduti da un nucleo di insediamento d’origine slavo-carantana, arrivato plausibilmente dalla valle della Gail (Lesachtal, Obergailtal, Untergailtal), piuttosto che dall’Alta Pusteria, dato che «il confine occidentale del territorio slavo era la la Chiusa di Lienz» (Lienzer Klause), presso Leisach, all’estemità orientale della Pusteria stessa [35], e «a ovest della Chiusa di Lienz e di Tilliach, l’elemento slavo non sembra esser stato di grande importanza» [36].

Le ipotesi di Piller Puicher e di Peratoner mi paiono in effetti puramente congetturali, sia perché ad un insediamento di sloveni alpini nella vallata sappadina non si accenna, a mia conoscenza, in alcun documento (né tradizione popolare), sia sulla base di quanto verrà precisato nel § 4. e nella Terza parte, sull’ipotetica origine slava del toponimo Sappada.
Lo stesso Peratoner d’altra parte, non ha potuto essere più esplicito sulle «peculiarità superstiti e indiziarie» e «gli elementi prodotti a sostegno» dell’ipotesi di Piller Puicher, che «meriterebbero un ulteriore vaglio e approfondimento» (e quindi forse qualcosa di più di un breve sommario accenno), perché questo autore in Storia di Sappada Longaplave (1995) si è limitato ad enunciare genericamente l’esistenza di alcune differenze tra gli abitanti di Cima e quelli di Sappada relativamente a «definizioni e denominazioni di oggetti e utensili, usi, ecc.», e ad affermare che «sono Carinziani molti vocaboli usati a CimaSappada [sic]», senza fornire alcuna esemplificazione di sorta [37].

A dire il vero, l’ipotesi di Piller Puicher sarebbe più verosimile se nella Val Degano e/o in altre valli della Carnia occidentale si fossero individuati altri toponimi d’origine slavo-alpina — indizio di qualche stanziamento medievale —, la qual cosa non mi risulta.
In effetti, Piller Puicher avrebbe individuato tre toponimi attribuibili agli Slavi: Sclavonchis (Povolaro, Comeglians), Sclavonesc (Vuezzìs, Rigolato), Scleva (Piani di Luzza = Cleva, Forni Avoltri) [38], che però non si sa da quale fonte siano tratti e non sono riportati né nella “carta topografica per escursionisti” Sappada - S. Stefano - Forni Avoltri (foglio 01) della Casa Editrice Tabacco, né ne Il Nuovo Pirona [39]. I primi due paiono derivati dal friul. sclavòn ‘schiavone’ (da sclâf ‘schiavo’, ‘slavo’), il terzo è probabilmente connesso al toponimo Cleva. Cfr. Pasiàn Sclavonèsc, attuale Basiliano (UD), in un territorio della Pianura Friulana centrale in cui attorno al 1000 si erano insediati coloni slavi su richiesta dei Patriarchi [40].
A quanto risulta, nel territorio del Ducato del Friuli gli Slavi dovrebbero aver effettuato più che altro delle incursioni, ma in epoca piuttosto antica, nel secolo VIII, incursioni quindi che vennero respinte dai capi longobardi. Gli insediamenti slavi si sono sicuramente avuti, invece, in Carinzia, lungo la valle della Gail — dalla quale, in teoria, attraverso il passo di Monte Croce Carnico e la Val Degano, sarebbero potuti provenire gli Slavi alpini stabilitisi sul pianoro di Cima Sappada.
Va qui ricordato quanto detto di recente da H.-D. Pohl sulla colonizzazione slovena e tedesca del Lesachtal: nell’XI secolo in questa valle — sulle cui vicende siamo informati da documenti solo a partire dal 1300 — vi saranno state un modesto numero di famiglie slovene provenienti dal Gailtal; «poi, nel XII secolo, si è sovrapposta una forte ondata di colonizzazione tedesca, proveniente dalla Val Pusteria, condotta dalla signoria terriera. La lingua tedesca si è affermata presumibilmente nel corso del XIII secolo. Non è molto chiaro se l’elemento romanzo del Lesachtal sia antico o offra la possibilità di pensare a contatti bavaresi-ladini più recenti.» [41]

4. I «toponimi a componente slavofona della zona» e i «vocaboli del dialetto sappadino, in cui si registra traccia di radici paleoslave».

La presenza di «alcuni toponimi a componente slavofona della zona, in particolare delle valli immediatamente a settentrione di Sappada» e di termini del sappadino nei quali «si registra traccia di radici paleoslave» — toponimi e vocaboli di cui A. Peratoner in Storia di Sappada non offre alcun esempio —, sembra accordarsi con la «toponomastica quasi del tutto tedesca» rilevata da M. Hornung, ma va detto però che la studiosa austriaca qui si riferiva probabilmente al ristretto numero di toponimi d’origine romanza (cadorina, friulana) da lei notato [42].
Va segnalato poi che nelle pagine dedicate a Sauris e Timau del sito www.isolelinguistiche.it e di Isole di cultura. Saggi sulle minoranze storiche germaniche in Italia, a cura di Christian Prezzi (2004), non si parla di toponimi o voci d'origine slava, la qual cosa si spiega facilmente pensando che in quei luoghi non si siano mai insediati gruppi di Slavi (o, meno verosimilmente, che famiglie slave giunte prima, siano state tedeschizzate più tardi dai Saurani e dai Timavesi).
Da tenere in debito conto anche la circostanza che nel Plodar berterpuich. Vocabolario sappadino-italiano / italiano-sappadino, di Marcella Benedetti e Cristina Kratter, ove nell’elenco delle abbreviazioni compare anche «sl. slavo», non sono riuscito a trovare alcuna indicazione di termini d’origine slava — può darsi che a causa di una lettura cursoria forse troppo rapida, non mi sia accorto della presenza dell’abbreviazione «sl.» in alcune voci [43]. Però, secondo la stessa Marcella Benedetti [44], è nei «toponimi slavi», «una manciata» in tutto, che si posson trovare dei termini slavi. E d’altra parte, nel paragrafo dedicato all’etimologia del Pladner Wörterbuch / Glossario Sappadino (1995), M. Hornung non accenna a termini d’origine slava [45].

Riguardo dunque a tali nomi di luogo — i «toponimi a componente slavofona» di Peratoner —, pare evidente che «le valli immediatamente a settentrione di Sappada» non possano essere le valli tra Sappada e il confine italo-austriaco (Val Visdende, Val d’Antola...), ma quelle oltre il confine. Ciò è confermato dallo stesso Peratoner in Sappada / Plodn (2002), ove l’ipotesi della «sacca» di Sloveni Carantani viene suffragata dalla presenza di «toponomi come Lesachtal e la stessa Luggau, che cadono immediatamente a settentrione di Sappada», ritenuti d’origine slava, precisamente da radici significanti ‘bosco’ e ‘palude’ [46].
Sta di fatto però che il Lesachtal e Maria Luggau non sono «immediatamente» a nord del territorio di Sappada, bensì da questo separati da una fascia di territorio appartenente al Comelico.

Sui nomi di luogo d’origine slava in valli situate oltre confine, si trovano in effetti informazioni nei lavori di H.-D. Pohl, il quale ne ha registrati uno solo relativamente alla parte carinziana delle Alpi Carniche — Raudenspitz(e) (ital. Monte Fleons) [47] —, ma un certo numero nella regione comprendente Lesachtal, Gailtal tirolese e Pustertal [48]: Lesachtal, Wodmaier, Nostra, Sittmoos, Pallas, Maria Luggau [49], Tilliach [50].
Per quanto concerne le voci sappadine di origine slava cui accenna Peratoner, che comunque dovrebbero essere veramente poche, in due suoi articoli — Die Slavia submersa in Österreich: ein Überblick und Versuch einer Neubewertung e Slowenisches Erbe in Kärnten und Österreich: ein Überblick [51] — H.-D. Pohl ne indica una, pur non riportandone la forma attuale: il sostantivo femminile pougate ‘tavolaccio, pancaccio, letto semplice (nelle capanne dei boscaioli o nelle malghe, riempito di fieno o ramoscelli)’ [52]. Si tratta di un prestito dallo sloveno pograd ‘struttura sul muro, che serve come telaio del letto; tavolaccio’, da cui deriva il tedesco dialettale Pograte (varianti Pogate, Grat), con gli stessi significati del vocabolo sappadino (e in più le accezioni di ‘superficie di appoggio rialzata, doppio fondo’). La comparsa e la diffusione di tale prestito nei dialetti del sud-est dell’Austria non si possono datare, dovrebbero comunque risalire a prima della fondazione dell’isola linguistica di Sappada, assegnata da Pohl al XIII secolo [53].
Sulla base di una sola voce d’origine «carantana» — ma la cosa in fondo poco cambierebbe se le voci fossero di più — mi pare in effetti difficile sostenere la tesi di una colonia pretedesca di Slavi alpini. Si potrebbe certo ipotizzare che questi, arrivati prima del 1000, siano stati in seguito assimilati (tedeschizzazione) nella conca di Sappada, non senza però aver trasmesso alla parlata locale sudbavarese alcuni loro termini, che sono stati ovviamente tedeschizzati. Oppure che degli slavi si siano tedeschizzati nelle valli carinziane di provenienza degli antenati dei Sappadini (ove sono attestati toponimi d’origine slava), durante il XII secolo (cfr. sopra il § 3.) o forse anche precedentemente, prima della migrazione delle famiglie di lingua alto-tedesca che avrebbero portato con sé traccia di qualche prestito slavo. Ma tutto ciò non risulta.

5. Le « permanenze stagionali», tra l’VIII e il X secolo.

In Sappada / Plodn (2002) Peratoner attribuisce a Giandomenico Zanderigo Rosolo l’ipotesi di una trasformazione di «permanenze stagionali nelle valli estreme del Cadore» (per sfruttare i pascoli) in «residenze ed insediamenti stabili»; questi cambiamenti sarebbero avvenuti in un arco di tempo piuttosto lungo: «tra l’VIII e il XII secolo», un periodo che pare più lungo ancora di quello indicato da Zanderigo Rosolo nella formulazione cui si rifà Peratoner: «È probabile che nello spazio di 3-4 secoli precedenti al XII, con la permanenza stagionale per il pascolo, si siano formati in queste valli estreme i primi villaggi» [54]. Tant’è che in lavori successivi [55] Peratoner anticipa la fine di quel processo di trasformazione al X secolo, anche per una maggior coerenza con la scelta di retrodatare al secolo XI la colonizzazione iniziale della conca sappadina da parte dei tedeschi.
Ma a quale popolazione saranno appartenuti quanti in epoca altomedievale, durante i mesi più caldi, sfruttavano i pascoli delle valli estreme del Cadore? Dovrebbe trattarsi, stando a Zanderigo Rosolo, di gente romanza del Centro Cadore (Auronzo, Domegge, Lorenzago...); ma non si può affatto escludere la presenza di pastori provenienti dalla Carnia (Canale di Gorto) o anche dal territorio dell’attuale Pusteria, dalla o attraverso la val di Sesto (e il passo di Monte Croce di Comelico) [56].

6. I «flussi migratori» di tedeschi.

In Storia di Sappada Peratoner ricorda l’infeudazione del Friuli — Cadore e territorio di Sappada compresi — a Sigeardo di Tengling avvenuta il 3 aprile 1077 [57], e subito dopo, continuando il capoverso, formula l’ipotesi di «alcuni flussi migratori» verificatisi «nei secoli successivi», flussi dai quali dipenderebbe, in buona sostanza, la parlata sappadina (come ho già indicato nel § 1.). Tali flussi sarebbero dunque posteriori alla data del 1077, non sarebbero inquadrabili nei secoli VIII-X — quelli delle «permanenze stagionali nelle valli estreme del Cadore [...] trasformate in residenze ed insediamenti stabili» —, secoli durante i quali invece, contemporaneamente, nella conca si sarebbero stanziati degli Slavi alpini [58] (giunti nell’VIII secolo, simultaneamente ai bavaresi, secondo la supposizione di Giorgio Piller Puicher). Si veda a tale proposito quanto rilevato supra nel § 3.
Indipendentemente da Peratoner, A. Leidlmair prospetta «movimenti migratori dall’alta Pusteria e dalla Lesachtal» successivi all’epoca della fondazione di Sappada, risalente alla seconda metà dell’XI secolo [59].

7. L’attività mineraria.

Peratoner — come già si è detto nei due paragrafi precedenti — accenna, in Soria di Sappada, a «permanenze stagionali» per il pascolo e probabilmente per le attività minerarie, che tra l’VIII e il X secolo «potrebbero essersi col tempo trasformate in residenze ed insediamenti stabili», tenuto conto anche della presenza di toponimi quali Monte Ferro e Vallone Rio della Miniera. La prima menzione di miniere di ferro risale però al 1334.
Maggiori informazioni si trovano in Sappada / Plodn (2002) [60] e Sappada/Plodn (2009) [61], ove si ipotizza che i primi stanziamenti abbiano riguardato il pianoro di Cima Sappada, anche perché da esso si può raggiungere più agevolmente il Vallone Rio della Miniera, per poi proseguire fino alla Cresta del Ferro, in una zona nella quale si incontrano toponimi quali «i nomi di Èrzpeidn (pianori delle miniere), Knoppmloch (buco del minatore) e dello stesso Ainspèrk (M. Ferro)» — menzionati nelle forme Erzpèidn/Eržpèidne, Knòppnloch/Knòppnlòch, Ainspèrck/Àis(e)npèrck in Sappada / Plodn (2002) [62] ed Erzpèidn, Knòppnloch, Ainspèrck in Documenti (2005) [63].
Nel documento del 1296 però non vi è alcun riferimento ad attività estrattive, mentre il primo cenno sulle miniere di ferro si trova in un documento del 2 febbraio 1334, in cui il patriarca Bertrando di San Genesio concede lo sfruttamento di una vena di ferro e la costruzione di un forno a «Bartholomeus dictus Zassus et Manfeus dictus Vallina de Furno de Cavrilis» [64]. Siamo in un periodo durante il quale si sta assistendo ad un notevole sviluppo delle attività estrattive e metallurgiche nella montagna veneta, specie nell’Agordino e nello Zoldano, tant’è che nel 1328 degli abitanti della Val Zoldana si erano spinti fino ad Avoltri per costruirvi un forno da ferro.
Da ciò si può supporre che lo sfruttamento (più organizzato, intensivo) dei giacimenti di ferro abbia avuto inizio nel XIV secolo, (ben) più tardi rispetto all’epoca di fondazione degli insediamenti stabili, vale a dire che le famiglie tedesche non migrarono nell’alta valle del Piave attratte tanto dalle risorse minerarie quanto da quelle pascolive e forestali.
Quindi, ai pastori romanzi frequentanti l’area sappadina in epoca altomedievale, dovrebbero esser subentrate, forse già nell’XI secolo (all’epoca di Sigeardo di Tengling ed Enrico di Augsburg, patriarchi di Aquileia e conti del Friuli), oppure nel XII secolo, più che altro famiglie di agricoltori-allevatori-boscaioli parlanti varietà bavaresi del medio alto tedesco provenienti dall’Alta Pusteria, dal vicino Tilliacher Tal o anche dal Lesachtal.


[1] Alcuni non citano le tesi di Peratoner perché presenti in lavori pubblicati perlopiù dopo i loro.

[2] Documenti per la storia di Sappada / Plodn. 1295-1907 (= A. Peratoner 2005) e gli articoli contenuti in Sappada/Plodn. Identità culturale di un’isola linguistica alle Sorgenti del Piave (= A. Peratoner, D. Isabella 2009: 15-78).

[3] L. Protto 2004: 179-80.
Secondo N. Denison è probabile che le famiglie provenissero, almeno in parte, dall’area di Kartitsch e Tilliach (nel Tirolo orientale, rispettivamente lungo il Gailbach e la Gail).
La parlata di Timau (appartenente alla « famiglia dei dialetti sud-bavaresi di tipo carinziano») risalirebbe alla fine del XIII secolo (cfr. F. Cattarin 2004: 223-4).

[4] L. Protto 2004: 196-7.
Stando alle attestazioni del XIII secolo, il tipo Fasenacht parrebbe però precedere quello Fasching. Infatti Fasching è termine bavaro-austriaco attestato dalla metà del XIII secolo nelle forme vaschanc, vaschang (1272, 1283, nella Passauer Weberordnung); Fastnacht, Fasnacht, Fasnet è attestato dal 1200 in forme quali vastnaht, vasnaht — questa seconda già nel 1206, nel Parzifal (VIII, 409, 9) di Wolfram von Eschenbach: an der vasnaht nie baz gestriten. Cfr. F. Kluge 1989, s. vv. Fasching, Fastnacht, e O. A. Erich, R. Beitl, K. Beitl 1996: 198-204.
Sulla voce Fasnacht, Heinz-Dieter Pohl (2002: 38-9, nota 8 = 2010: 1, nota 4) riferisce quanto segue:
dialettale vsenåxt ‘Fastnacht’ (dal m.a.t. vastenaht), che proveniva dall’ovest della Germania meridionale e che poi ha sostituito il bavarese più antico Fastgang > Fasching. Oggi ancora in Pusteria si dice Fas(e)nacht (cfr. Hornung 1964: 91), dall‘Iseltal verso est Fasching. Hornung (1964: 81, 95, 111) nomina per Assling e Kartitsch Fas(e)nacht, per Kals Fasching. — Ulteriori informazioni in Hornung 1972: 171f.
[5] M. Hornung 1995: 36.

[6] La maggior conservatività della parlata potrebbe forse esser dovuta ad un maggior isolamento più che non ad una migrazione avvenuta in epoca più antica. Cfr. A. Peratoner 2002: 131-2.

[7] A. Peratoner 2002: 135. M. Hornung faceva risalire la fondazione di Sauris al 1250 circa o un po’ prima (M. Hornung 1995: 36).

[8] M. Benedetti, C. Kratter 2010: 16.

[9] «La variante consisterebbe nella fonazione della palatovelare üa in uo a Sauris e ui a Sappada, riscontrabile nel dialetto della Val Pusteria (M. Hornung, Wörterbuch ..., cit.p.; ed. 1995, p. 36)» (A. Peratoner 2002: 135, nota 8).
Si tratterebbe però del m.a.t. úo passato a úi a Sappada, a úe a Sauris: si veda, ad es., m.a.t. guot ‘buono’ (ted. gut) > guit (Sappada), guet (Sauris); cfr. M. Hornung 1995: 36, H.-D. Pohl 2002: 61 e L. Protto 2004: 196.

[10] A. Peratoner 2002: 135. Cfr. anche, nella Prima parte, la nota 6.
La «ä medio-alto tedesca» è la ä metafonica (metafonia secondaria) che in bavarese è passata ad a «intorno all’ultimo ventennio del XIII secolo» — una «a chiara» rappresentata con il simbolo à —, mentre in sappadino si pronuncia ɛ (e aperta): si vedano, come esempi, la voce pèntl ‘nastrino’, diminutivo di pònt (m.a.t. bant, ted. Band), corrispondente al bavarese Bàndl, e la voce — proposta dalla stessa Hornung — mändl [mèndl ‘omino’, diminutivo di mònn], con ä m.a.t. «conservata come suono aperto ä», di fronte al mandl delle «regioni d’origine», con evoluzione ä > a. Cfr. M. Hornung 1995: 39, L. Protto 2004: 196, e H.-D. Pohl 2002: 61.
Nella sua raccolta di documenti sappadini, Peratoner riconosce che «le ipotesi linguistiche» della Hornung, «fondate su valutazioni di glottologia comparata ed evolutiva», non sono da ritenersi «destituite di qualsiasi valore e significato, dipendendo la scorrettezza del loro risultato (cioè la datazione sconfessata dal presente documento [il «Privilegio concesso dal Patriarca di Aquileia Raimondo della Torre», in data 27 dicembre 1296]), a nostro avviso, dalla sottovalutazione di alcune variabili (l’effetto ritardo e la stratificazione multipla dei flussi di immigrazione a Sappada, peraltro attestati storicamente) non tenute in considerazione dalla Hornung nella formulazione della suddetta ipotesi» (A. Peratoner 2005: 5, nota 16).

[11] A. Peratoner 2005: 4-5; A. Peratoner 2009b: 25, nota 26.

[12] A. Peratoner 2002: 56 e 131.

[13] A. Peratoner 2009b: 22.

[14] G. B. Pellegrini, in A. Angelini, E. Cason 1992: 28-29, e C. Malaguti (2001: 34) lo chiamano «Enrico detto Fauculucus».

[15] Nella sua Breve storia del Cadore, Giovanni Fabbiani rileva che Sappada «dal lato religioso fin dal 1119 dipende dalla badia di Moggio e dalla pieve di Gorto» (G. Fabbiani 1992: 47). A quell’anno risale in effetti la fondazione dell’abbazia di Moggio, nel cui documento viene nominata per la prima volta la pieve di Gorto, che venne proprio allora assegnata alla giurisdizione dell’abbazia, mentre, a quanto risulta, non vi è alcuna menzione di Sappada. Cfr. http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/allegati/30547/ACAU%20Fondo%20Moggio.pdf.

[16] A. Peratoner 2005: 2. La forma Comeglians riportata nel lascito è già identica a quella ufficiale attuale, si discosta infatti dal Comalgians e dal Gomeliano attestati in due documenti di poco posteriori (del 1300 circa e del 1308); cfr. G. Frau 1978: 51. Il Comelians menzionato negli altri lavori di Peratoner è uguale al toponimo friulano.
Come si vedrà anche più avanti, i documenti riprodotti nella raccolta di Peratoner presentano al loro interno forme oscillanti nei toponimi che potrebbero dipendere da incertezze o sbagli attribuibili non si sa quanto agli estensori piuttosto che ai trascrittori (senza che si possa escludere, forse in qualche caso, il curatore stesso della raccolta).

[17] A. Peratoner 2005: 5-7.
G. Fabbiani riassume così quel documento: «Il patriarca Raimondo il 27 dicembre 1296 concesse ai sappadini, in perpetuo, tutti i masi e le terre spettanti alla chiesa d’Aquileia posseduti da loro, con l’obbligo di pagare non più 44 lire veronesi, bensì, 88, assolvendoli da qualsiasi ulteriore imposta e ciò per il clima freddo di quel luogo» (G. Fabbiani 1992: 48).

[18] A. Peratoner 2009b: 22, 24.

[19] A. Peratoner 2002: 59-60.

[20] A. Peratoner 2009b: 24.

[21] A. Peratoner 2002: 54, 60-61.

[22] A. Peratoner 2009c: 29.

[23] A. Peratoner 2002: 52.

[24] Il «piccolo veronese» viene chiamato in friulano anche vornéis e vornês (G. A. Pirona, E. Carletti, G. B. Corgnali 1988: 772, 1294).

[25] Cfr. le pagine web http://www.lamoneta.it/topic/54958-nelle-tasche-degli-italiani-nellanno-1200/ e http://www.lamoneta.it/topic/88740-prime-attestazioni-di-piccoli-veronesi/.
In effetti, come mi ha confermato il professor Giandomenico Zanderigo Rosolo, prima del 1230, in area cadorina o in regioni limitrofe, non s’incontrano nei documenti «lire di piccoli veronesi», bensì «lire (di denari) veronesi» o «lire (di denari) di moneta veronese», come negli esempi seguenti (indicatimi dallo stesso Zanderigo):
– compravendita, 7 maggio 1145, Mis: «sei lire di moneta veronese» (VI libras Veronensis monete), edito da Ferdinando Tamis, Storia dell'Agordino. Vita religiosa, Belluno 1981, p. 204;
– compravendita, 18 ottobre 1156, Treviso: «nove lire di denari veronesi» (denariorum Veronensium libras novem), edito da Giuseppe Richebuono, Le antiche pergamene di San Vito di Cadore. I 224 documenti dell'Archivio comunale dal 1156 al 1420, Belluno 1980, p. 57;
– concessione di feudo, 1162, Prata: «300 lire veronesi» (CCC libras Veronenses), in Giovan Battista Picotti, I Caminesi e la loro signoria in Treviso dal 1283 al 1312, Livorno 1905, ristampa anastatica riveduta a cura di Giovanni Netto, Roma 1975, pp. 245-246;
– compravendita, 3 giugno 1163, Vedana: «sei lire di denari veronesi» (libras sex denariorum Veronensium), in Documenti antichi trascritti da Francesco Pellegrini, I, Belluno 1991, p. 198;
– compravendita, 23 settembre 1175, Monguelfo: «60 lire di denari veronesi» (LX libras Veronensium denariorum), edito da Fabbiani e poi da Giuseppe Richebuono, Ampezzo di Cadore dal 1156 al 1335, Belluno 1962, pp. 192-193;
– procura, 31 marzo 1177, Venezia: «210 lire veronesi» (CC et X libras Veronenses), in Documenti antichi trascritti da Francesco Pellegrini, I, Belluno 1991, p. 216;
– atto di vendita, 15 settembre 1188, Pieve di Cadore: «cento lire veronesi» (libras Veronenses centum), in G. Zanderigo Rosolo Appunti per la storia delle Regole del Cadore nei secoli XIII-XIV, Belluno, Istituto Bellunese di Ricerche sociali e culturali, 1982, pp. 241-2;
– investitura di decime, 29 gennaio 1207, Trento: «trenta lire di denari di moneta veronese» (triginta librarum denariorum Veronensis monete), edito in Le più antiche pergamene dell'archivio comunale di Condino (1207-1497), a cura di Franco Bianchini, Trento 1991, pp. 1-3);
– investitura feudale, 5 febbraio 1214, Trento: «fitto di 35 lire di moneta veronese» (fictum XXXV librarum Veronensis monete), edito in Le più antiche pergamene dell'archivio comunale di Condino (1207-1497), a cura di Franco Bianchini, Trento 1991, pp. 5-9).

[26] Il valore monetario di «tutti gli altri obblighi, oneri e servitù», in una situazione climatico-ambientale più favorevole, sarebbe forse dovuto ammontare a più di 44 lire.

[27] A. Peratoner 2005: 5.

[28] Cfr. P. Guichonnet 1986: 33, e http://www.meteoparma.com/news.html?news=152.

[29] A. Peratoner 2005: 6, nota 17.

[30] Cfr. A. Peratoner 2002: 61.

[31] A. Peratoner 2002: 51, nota 14.

[32] G. Piller Puicher 1995: 25-7.

[33] Piller Puicher — nello spazio di due pagine — indica però, per l’«insediamento permanente» a Sappada, due diversi periodi, il secondo compreso nel primo: il V-VIII secolo (p. 25) e il VI-VII secolo (p. 26) — questo secondo propone anche in G. Piller Puicher 1997: 5 —; e al tempo stesso indica, per l’arrivo e lo stanziamento degli Slavi a Cima, la seconda metà del VI secolo, ossia il «750» circa (p. 26).

[34] Cfr. A. Peratoner 2009c: 29.

[35] Cfr. http://members.chello.at/heinz.pohl/Landschaften.htm.
Nella carta G5 del Tirol-Atlas, «Die Sprachschichten in den Ortsnamen Tirols», allegata a K. Finsterwalder 1990, non compaiono nomi di località d’origine slava nel tratto austriaco della Pusteria fino al Kristeinerbach, attuale confine tra i comuni di Anras e Assling — Assling è infatti ritenuto «nome slavo»: la forma attestata Aznich deriverebbe dallo slavo jazen ‘frassino’. —, né nel tratto tirolese dell’alta valle della Gail (fino a Untertilliach), mentre ve ne sono diversi attorno a Lienz (il cui nome è pure slavo) e un po’ in tutto il bacino dell’Isel.
Secondo Adolf Leidlmair, gli Slavi penetrarono da est, dal «bacino carinziano», e si stanziarono nei fondivalle a partire dalla fine del VI secolo (A. Leidlmair 2002: 20).

[36] H.-D. Pohl 2002: 57.

[37] G. Piller Puicher 1995: 25-7.

[38] G. Piller Puicher 1995: 15.

[39] Nessuna traccia nemmeno in G. Frau 1978 e A. di Prampero 2001.

[40] Cfr. G. Frau 1978: 16.

[41] H.-D. Pohl 2002: 57-8.

[42] Secondo G. B. Pellegrini, è probabile che quando sono arrivati i tedeschi carinziani «la zona non fosse spopolata e che alcuni toponimi pretedeschi dovessero già esistere»; cfr. A. Angelini, E. Cason 1992: 28-9.
H.-D. Pohl fa notare che «solo nella parte più orientale, verso la Carnia, vi sono alcune antiche denominazioni romanze di alpi e monti, là dove precisamente si trovava anche quel terreno dissodato chiamato Sappada» (H.-D. Pohl 2002: 42-3 e 2010: 3).

[43] M. Benedetti, C. Kratter 2010: 34.

[44] Comunicazioni personali dell’Autrice.

[45] Cfr. M. Hornung 1995: 49-50. Si veda più sotto la nota 52.

[46] A. Peratoner 2002: 51.

[47] H.-D. Pohl 2002: 53-4.

[48] H.-D. Pohl 2002: 57-61.

[49] Luggau, Lukaw nel 1374, può significare ‘punto di guardia/osservazione’; cfr. lo slov. lukavati ‘osservare’. Luggau dunque non dipenderebbe da una voce slava *lug ‘palude, prato paludoso’. Cfr. H. D. Pohl, B. Schwaner 2007: 73 e D. Berger 1993, s. vv. Lauchhammer, Lugau.

[50] Tilium, quod vulgo Circinach vocatur (1075); forse dal «rom. tilia ‘tiglio’ (desinenza -ach rimodellazione slava, come rom. Circinach / Cercinago), il Circinach rom. è nome di dissodamento (Schwendrodung, rom. circinatu ‘Platz mit zum Schwinden gebrachten Bäumen’ (luogo con alberi fatti sparire [o diminuire])» (H.-D. Pohl 2002: 60-1; cfr. anche G. B. Pellegrini 1992a: 283, A. Draxl 2002: 82-3, A. Sacco 2002: 157-8).

[51] Consultabili ai siti: http://wwwg.uni-klu.ac.at/spw/oenf/KrtnJbPol_2005.pdf; http://wwwg.uni-klu.ac.at/spw/oenf/FS_Oresnik.pdf.

[52] M. Benedetti, C. Kratter 2010: 531. Le Autrici non accennano ad alcuna origine slava della voce pougate.
Invece, nel Pladner Wörterbuch / Glossario Sappadino (1995), M. Hornung precisa: «pougate, dallo slavo regionale alpino pograd, “tavolaccio, pancaccio”, ripreso in diversi dialetti austriaco-bavaresi per lo più come pograt o simile» (M. Hornung 1995: 372).

[53] Anteriormente alla sua introduzione nella parlata salisburghese, ad opera dei primi lavoratori del legno sloveni immigrati nel Salzkammergut.

[54] «G. Zanderigo Rosolo, Appunti per la storia delle Regole del Cadore nei secoli XIII-XIV, Belluno, Istituto Bellunese di Ricerche sociali e culturali, 1982 (Serie “Storia”, n. 10), p. 50», in A. Peratoner 2002: 51-2, nota 15.

[55] A. Peratoner 2004: 168; A. Peratoner 2005: VIII.

[56] Cfr. http://digilander.libero.it/zaccariar/origini.htm, A. Leidlmair 2002: 19-20, A. Sacco 2002: 134, 136-7, 140-1.

[57] Cfr. anche A. Peratoner 2009b: 21.

[58] Cfr. anche Peratoner 2002: 54.

[59] A. Leidlmair 2002: 21.

[60] A. Peratoner 2002: 56, 145.

[61] A. Peratoner 2009b: 25-6.

[62] A. Peratoner 2002: 56 (nota 15), 145.

[63] A. Peratoner 2005: 13.

[64] A. Peratoner 2005: 13.

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